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Il M5s e i privilegi dei magistrati

Massimo Bordin

I grillini votano contro il provvedimento sulle "porte girevoli" tra magistratura e politica. Ma dimenticano il nodo dei vitalizi 

Due anni fa il Csm, con un suo documento, chiedeva al legislatore regole più stringenti e severe di quelle approvate ieri dalla Camera a proposito dei magistrati che tornano a indossare la toga dopo aver fatto parte del Parlamento o di assemblee e giunte di enti locali. Basta forse questo per dire che la legge votata ieri lascia aperto il problema che intendeva risolvere. Forse la questione è ancora più complessa e tocca lo status dei magistrati nel nostro ordinamento al di là dell’increscioso fenomeno delle porte girevoli fra politica e tribunali. Aiuta a capire il problema un comunicato dei deputati grillini, che hanno votato contro il provvedimento. I deputati del M5s in commissione giustizia avevano patrocinato un emendamento che fermava l’automatismo degli scatti di carriera per i magistrati nel corso del mandato politico. Mantenendo l’automatismo, una volta tornati alla toga vengono così assegnati loro ruoli che i colleghi rimasti nei tribunali devono conquistarsi attraverso le graduatorie stilate dal Csm. Un privilegio, dicono i 5 stelle. Giusto. Ma come vogliamo chiamare un meccanismo automatico, unico fra i funzionari statali, che permette a un magistrato che passa tutta la sua carriera in un tranquillo tribunale di provincia, di andare in pensione con la qualifica di magistrato di cassazione senza aver mai visto il “palazzaccio” nemmeno in fotografia? Non si tratta di un titolo onorifico ma di uno stipendio, che cresce indipendentemente dal ruolo effettivo. Uno stipendio cospicuo, al quale si conforma quello dei deputati che, per quanto numerosi, sono assai meno dei magistrati. Chi sa se i 5 stelle ci hanno mai pensato?

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