Stefano Graziano

I giornali, la gogna mediatica e una lettera speciale del Corriere

Claudio Cerasa
Quando informare sull'avvio di procedimenti giudiziari diventa più rilevante delle notizie sulla loro archiviazione. Alla faccia del garantismo. Il caso di Stefano Graziano, ex presidente del Pd campano

Al direttore - La notizia è dell’altro ieri: il gip di Napoli ha archiviato l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Stefano Graziano, ex presidente del Pd campano. Il 26 aprile scorso gli era stato stato notificato un decreto di perquisizione in cui si contestavano “favori al clan Zagaria in cambio di appoggi elettorali”. Accadde il finimondo: valanghe di fango giustizialista, grillini in testa. Nessuno che si sia scusato, ovviamente. Ma non è questo il punto. In giurisprudenza si parla di lite temeraria quando si agisce (o si resiste) in giudizio con mala fede e colpa grave, ossia con consapevolezza del proprio torto o con intenti dilatori. Questo comportamento è illecito, e può essere sanzionato con il risarcimento di tutti i danni alla parte lesa. Di fronte a casi manifesti di “indagine temeraria”, non dovrebbe valere lo stesso principio?

Michele Magno

 


 

Più che l’aspetto giuridico, che ha un suo interesse, stavolta mi interessa più il lato giornalistico della vicenda. E il problema è sempre lo stesso e la domanda da farsi di fronte a casi come quello di Graziano è sempre quella: come diavolo è accettabile o concepibile che una notizia relativa a un’indagine sia infinitamente più valorizzata di una notizia relativa a una archiviazione o a una assoluzione? E perché nessuno, tranne qualche piccolo giornale, si ribella a questa oscenità nazionale?

 

L’amico Mario Spetia, a proposito del rapporto tra la giustizia e la stampa, qualche settimana fa mi ha inviato un testo interessante. E una disposizione della direzione del Corriere della Sera. Vediamola. “Accade con una certa frequenza che i Corrispondenti, dopo averci segnalato la notizia di arresti o di denunce di persone, trascurino di mandare la notizia delle loro condanne o della loro assoluzione. Il non dare la notizia della condanna non porta al giornale alcuna conseguenza; ma porta invece conseguenze e responsabilità gravissime per il giornale il non dare la notizia dell’assoluzione in istruttoria o al processo di persone imputate di un reato e quindi esposte, dalla pur legittima pubblicazione del giornale, alla disistima con grave loro danno morale e materiale. Il giornale ha il diritto e il dovere di pubblicare le denunce, gli arresti e i motivi che hanno dato luogo alle denunce e agli arresti, nei medesimi termini in cui figurano nei verbali delle Autorità di P.S. o dell’Autorità Giudiziaria, astenendosi però da ogni e qualsiasi aggiunta o apprezzamento; ma ha il dovere preciso di riparare al danno arrecato alle persone con la legittima pubblicazione fatta quando, in seguito all’istruttoria o al processo,  l’accusa risulti infondata. La preghiamo di uniformarsi a queste direttive; e mandando notizie di assoluzioni faccia sempre una nota di servizio per la Direzione segnalando che il Corriere ha pubblicato a suo tempo la notizia dell’arresto o della denuncia: in questo caso non sfuggirà all’attenzione della redazione la necessità di pubblicare la notizia”. La lettera è firmata “Segreteria di redazione” e risale al 14 marzo del 1934. Sarebbe bello se tutti i grandi giornali, partendo dalla storia di Graziano, inviassero ai propri giornalisti, oggi, una lettera del genere.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.