Foto tratta dal profilo Facebook di Stefano Graziano

Chi ancora dovrebbe scusarsi con Stefano Graziano

Massimo Bordin

“Non mi emoziona”, così il politico del Pd ha commentato le scuse di Luigi Di Maio che insieme al M5s aveva subito chiesto le sue dimissioni

“Non mi emoziona”. Così Stefano Graziano, dopo l’archiviazione definitiva delle accuse che lo avevano portato sulle prime pagine dei quotidiani poco meno di un anno fa, ha commentato le scuse di Luigi Di Maio che insieme al M5s aveva subito chiesto le sue dimissioni. Non c’è da dargli torto. Altri però non si sono nemmeno scusati, come ha giustamente scritto Piero Sansonetti sul giornale che dirige. Quelli che lo misero in prima pagina quando fu accusato e in cronaca quando fu assolto. Non è solo questo però. Imbrogliarono il lettore con titoli a sensazione. Lo ricordo perché mi colpì una forzatura evidente sul ruolo politico di Graziano, allora presidente regionale del Pd. Nella struttura regionale dei partiti quello che conta è il segretario, la presidenza è una carica poco più che onorifica, come sanno tutti i cronisti, eppure lo presentarono come “il capo del Pd campano”, che manifestamente non era. Così come non era un camorrista e nemmeno un commerciante di voti, come veniva descritto negli articoli. Dunque, non solo i 5 stelle ma anche, e più ancora i giornali. Infine i magistrati, quelli che non si scusano mai perché errare è umano. Perseverare però è diabolico e i magistrati napoletani, con Graziano, sono ricaduti in una faccenda di omonimia. Hanno preso per buone le accuse di un pentito che accusava un imprenditore che era solo omonimo di un boss, neanche parente. Graziano l’aveva incontrato e scattò il concorso esterno. Questa storia delle omonimie non è nuova per i pm napoletani. Nel 1983 arrestarono quasi cento persone che risultarono solo omonimi di quelli elencati da due pentiti. Quasi cento, ma quel blitz riguardava quasi mille persone, fra le quali Enzo Tortora. Una percentuale accettabile, fisiologica, dissero i magistrati.

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