Una foto del 1994 dell'ultimo congresso del Pci

Élite accecata

Alfonso Berardinelli
Il populismo è diventato una parolaccia quando la sinistra si è fatta ingabbiare nel passato. Da quasi un quarto di secolo la Sinistra che ha perso “il senso della storia” (per dirla con una sua vecchia formula), che ha perso la sintonia con quanto avviene nelle nostre società e coccola invece le minoranze snob prendendo per diritti i loro desideri, se la prende con la volgarità del “popolo”.

Mi chiedo da anni chi è quell’imbecille che ha deciso di chiamare “populismo” ogni fenomeno politico che incontra il favore crescente dei cittadini. Ho detto “mi chiedo”. Invece c’è poco da chiedersi, perché si sa già. Da quasi un quarto di secolo la Sinistra che ha perso “il senso della storia” (per dirla con una sua vecchia formula), che ha perso la sintonia con quanto avviene nelle nostre società e coccola invece le minoranze snob prendendo per diritti i loro desideri, se la prende con la volgarità del “popolo”.

 

Nell’editoriale dell’ultimo numero dell’Espresso, la contraddizione che fa venire l’ulcera alla Sinistra è esemplarmente formulata dal giornalista e direttore del settimanale, Luigi Vicinanza, che come esercizio spirituale di fine anno redige un suo mini-dizionario nel quale il termine Sinistra è illustrato con queste parole: “Dall’identità incerta, prigioniera del proprio passato. Specializzata in scissioni, provvisorie aggregazioni, nuove scissioni. In Europa fatica a rappresentare le classi lavoratrici e i ceti medi proletarizzati. Che dunque finiscono per votare populisti e demagoghi”.

 

Tutto vero. Ma allora ragioniamo un momento. La sinistra (dice Vicinanza) è “prigioniera del proprio passato”, cioè non capisce il presente. Ha un’“identità incerta”, cioè non sa che cosa vuole e in che cosa crede. Inoltre è “specializzata in scissioni”, cioè segue contemporaneamente idee che vanno in direzioni opposte: si dichiara democratica ma teme il “demos”, il popolo. Infatti “fa fatica a rappresentare le classi lavoratrici e i ceti medi proletarizzati”. Bene. Ma allora chi e che cosa rappresenta? Rappresenta il matrimonio omosessuale? L’adozione di bambini da parte di coppie composte da due maschi o da due femmine? Rappresenta il diritto di suicidarsi con l’assistenza garantita e organizzata dello stato? Rappresenta il diritto di abortire se il nascituro non si mostra perfetto e non piace?

 

No, non volevo parlare di questo. Mi interessano ancora, guarda un po’, le classi sociali. Se la Sinistra non rappresenta, come dice l’editoriale dell’Espresso, né le classi lavoratrici né i ceti medi proletarizzati, allora vuol dire che rappresenta i mendicanti e l’alta borghesia. Solo che i mendicanti non ce li vedo a sentirsi rappresentati dallo schifiltoso, elitario ceto politico di sinistra. E l’alta borghesia che gode di privilegi esclusivi e inalterati non ha bisogno di sentirsi di sinistra: si sente giustamente (volevo dire: realisticamente) al di sopra di una sinistra ridotta tanto male.

 

 

[**Video_box_2**]La nostalgia come linea politica

 

Se le cose stanno così, perché la sinistra sputa su quei “populisti e demagoghi” che invece sono votati dalle “classi lavoratrici” e dai “ceti medi proletarizzati”? Che cos’hanno di ripugnante e di deplorevole questi elettori che votano la Destra perché la Sinistra non li rappresenta?

 

Mah! Se c’è un posto in cui non vorrei stare è la testa di chi si sente elettore fedele di una Sinistra “prigioniera del proprio passato”. Era così bello questo passato? Quale passato? La rivoluzione sempre alle porte degli anni ’68-’75? O quella cosa fantastica (volevo dire: fantasiosa) chiamata “compromesso storico”, che in condizioni di perdurante Guerra fredda faceva credere possibile che un partito comunista (dico comunista nel senso di legato all’Unione sovietica) andasse al governo in un paese della Nato, cioè militarmente tutelato dagli Stati Uniti?

 

No, quel passato non era in fondo così bello da meritare che se ne sia tuttora mentalmente prigionieri. Non mi sogno di disprezzare le nostalgie di nessuno, purché si tratti di singoli individui. Ma le nostalgie di un partito politico, di una cultura e di un ceto politici, questo no, mi sembra assurdo, anzi politicamente scorretto.

 

La sinistra non crede più nel progresso e nel futuro? O ci crede solo se si tratta di lodare la libertà via internet e il diritto al comfort? Dio mio, nessuno vieta alla sinistra di essere innamorata del proprio passato e di un privilegio d’avanguardia che ha perduto. Nessuno vieta niente. Solo che non ci si può lamentare se poi la Destra cresce perché populisticamente rappresenta il popolo.

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