Nichi Vendola e Stefano Fassina (foto LaPresse)

A forza di dividersi e clonarsi, a sinistra non sanno più che nomi darsi

Marianna Rizzini
Ci risiamo. Un paio di settimane fa, prima di Natale, sul sito internet di Nichi Vendola è comparso un appello per (l’ennesima) Costituente delle sinistre.

Roma. Ci risiamo. Un paio di settimane fa, prima di Natale, sul sito internet di Nichi Vendola è comparso un appello per (l’ennesima) Costituente delle sinistre, un “processo costituente partecipato”, ha scritto Nichi ricorrendo a un lessico paurosamente simile a quello di Fabrizio Barca, ex ministro tecnico, uomo di famiglia comunista, castigamatti di circoli romani del Pd e soprattutto ideatore della misteriosa formula magica che avrebbe dovuto spalancare le porte a chissà quali resurrezioni della gauche (“mobilitazione cognitiva”, era la sua idea diffusa un paio di anni fa con pamphlet e viaggio attorno allo Stivale). E ora riecco un cantiere di Nichi Vendola in persona, l’uomo che le sinistre non sa più come chiamarle, dopo averne viste nascere almeno una decina (da Rifondazione comunista a L’altra Europa per Tsipras passando per la Sinistra Arcobaleno tristemente rimasta fuori dal Parlamento) e dopo aver battezzato decine di “Fabbriche” (laboratori per brainstorming di politica poetica? Pensatoi equi e solidali?) e organizzato innumerevoli convention dai nomi evocativi (ultima ma non ultima la kermesse “Human Factor”, poco meno di un anno fa a Milano, una tre giorni in cui, nelle intenzioni di Vendola, si sarebbe dovuto realizzare un “rimescolamento dei popoli”, per “spartire insieme il pane della buona politica”).

 

Ma siamo ormai nel nuovo anno, e le sinistre, più che spartire il pane, si sono auto-moltiplicate: non solo il non-partito di Maurizio Landini, il sindacalista Fiom che si è messo alla testa della “Coalizione sociale” non si sa bene per fare che cosa. E non solo il Possibile di Pippo Civati, deputato ex pd che per ora va da solo (non gli sono antipatici Vendola e Landini, dice, ma non gli va di stare lì come loro a “presidiare il 5 per cento”, ha detto qualche giorno fa a Repubblica). E’ nata infatti anche la Sinistra italiana del duo ex pd Fassina-D’Attorre, che su Roma minaccia sfracelli (realizzarli è tutta un’altra cosa, ma questo pare un dettaglio ininfluente dalle parti di Tor Pignattara, quartiere della periferia romana dove Si ha deciso di stabilirsi per dare il via alla corsa per il comune). Solo che adesso sorge un problema: che farsene, di tutte queste sinistre che neanche più possono guardare, come appena dodici mesi fa, al compagno greco Alexis Tsipras, delusione delle delusioni? E’ vero che Vendola ora vorrebbe tanto guardare a Podemos, la sinistra movimentista di Pablo Iglesias, “rivoluzionario non populista” sapagnolo, anche in fondo “socialdemocratico”, come dicono, incuranti dell’ossimoro, quelli che vorrebbero ispirarsi a lui. Ma è vero pure che non si sa nemmeno più che sigla scegliere, a forza di dividersi e clonarsi: “Partito della sinistra”, è l’idea, ma vai a capire se da qui all’autunno non si arriverà a spezzarsi in altri tronconi e a prendere a prestito altri nomi di sicuro successo (ma all’estero). E allora il dubbio è spuntato, fugace come un incubo da Veglione, assieme ai bilanci di fine anno: se non si riesce nemmeno a darsi un nome, non è che sotto non c’è ciccia?

 

[**Video_box_2**]E però dev’essere stato subito ricacciato, l’incubo, se Nichi, sul suo sito, ha spiegato nel dettaglio tutti i compiti e le caratteristiche del “processo costituente” di cui sopra, la tre giorni che dal 19 al 21 febbraio 2016, a Roma, vedrà sfilare le truppe stanche della “sinistra” che vuole rifondarsi all’infinito (per andare dove non è detto che si sappia): Nichi dice di volere “discontinuità? (leggere per credere: “…Redistribuire le ricchezze e abbattere le diseguaglianze sociali e di genere, costruire un nuovo welfare e eliminare la precarietà, restituendo dignità al mondo del lavoro…”. Già sentito? Pazienza. L’importante è dare un nome, il resto – forse – seguirà).

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.