Massimo Zedda, sindaco di Cagliari (foto LaPresse)

Comuni su Marte

Redazione
Perché il rassemblement dei sindaci arancioni è letale per il Pd renziano

Apri una mattina i giornali e ci trovi, in giorni di fibrillazione su Leopolde, minoranze pd e primarie, un appello politico (pubblicato da Repubblica) che sembra sceso un po’ da Marte: parlano Giuliano Pisapia, Marco Doria e Massimo Zedda, rispettivamente sindaci di Milano, Genova e Cagliari. Tre sindaci cosiddetti “arancioni”, dal colore che tre-quattro anni fa era diventato simbolo della primavera da società civile alla riscossa. Chiedono, i tre, una riflessione in direzione dell’unità a sinistra (oggi inesistente o, se esistente, più che mai pericolante): ricordiamoci come si vince, dicono, chiedendo in sostanza di tornare allo schema “Pd più Sel” e “… ai percorsi che ci hanno permesso di vincere in passato e ci permetteranno di vincere in futuro”. La cosa lascia perplessi non solo perché ci si trova in un momento di moltiplicazione delle sinistre: quella di Stefano Fassina, quella di Pippo Civati, quella di Sel, quella interna al Pd che non se ne va ma organizza contro-Leopolde in teoria amichevoli (ma chissà), e poi quella a metà tra Cinque stelle e Pd e quella dei non meglio identificati “movimenti”, che non si sa dove andranno a confluire. C’è però anche un altro elemento che rende straniante l’appello, visto il pulpito: il fatto che nell’esperienza di governo degli arancioni, specie nelle grandi città, non è bastato l’afflato delle sinistre ecumenicamente messe insieme per poter dire “funziona”.

 

Anzi: le sinistre che componevano la base degli arancioni si sono rivelate, nella loro diversità, fonte di immobilismi, mugugni e liti (a questo si è aggiunta la disillusione dei cittadini convinti che fosse sufficiente dire “società civile” per risolvere tutti i problemi). Sono lontani i tempi in cui gli “arancioni” venivano presentati come il miracolo italiano capace di rincuorare gli orfani dei rassemblement arcobaleno usciti dal Parlamento nel 2008. Il miracolo, alla prova dei fatti, è parso più che altro un miraggio. Tanto che gli “arancioni”, in questi anni, si sono trovati a intermittenza spiazzati e sconfortati, vedi Pisapia nei mesi duri delle lotte tra assessori e nel pre-Expo (e comunque non si ricandida) o Doria nei giorni dell’alluvione a Genova del 2014, quando, in mezzo alle contestazioni, si è trovato a riflettere amaramente sulla demagogia che rende molto lì per lì, per poi rendere la vita impossibile al demagogo. “Pago lo scarto tra la corsa al potere e la sua gestione”, diceva Doria. Ma chissà come potrebbe diventare ostica la gestione del potere, con le sinistre in guerra fratricida ancora prima di cominciare (per tacere di Roma, dove neppure c’era un sindaco arancione). E chissà se basterà la bacchetta magica usata retoricamente dai tre sindaci: tutti uniti per contrastare “i populismi” (già che ci siamo, si evoca lo spettro lepenista in Francia).