Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi non traccia il solco nel Pd, così nessun candidato difende il suo Pd

Redazione
La gran confusione del partito lungo l'asse Milano-Roma-Napoli

Magari avesse a che fare con un partito riottoso, che non accetta i diktat romani. La verità è che Matteo Renzi ha a che fare con un partito che non c’è. E che non c’era neanche prima, durante l’era Bersani, come dimostra la gran confusione che si sta facendo intorno alle primarie. Anche allora il segretario non riusciva a governare le situazioni locali e perciò prese atto di avere un partito inesistente, accettando la sconfitta del Pd quasi dovunque, alle primarie, e la vittoria di esponenti della sinistra. La differenza è che adesso il premier non ci sta ad accettare i diktat dei potentati locali o di quel che ne resta. Ragion per cui fatica ad accettare la proposta che gli ha fatto Pisapia. La Balzani? E’ un rischio troppo grosso, soprattutto se il centrodestra lascia a se stesso Alessandro Sallusti e azzecca il candidato. Quindi  domani, quando Renzi vedrà il sindaco di Milano e la sua vice Francesca Balzani non saranno tarallucci e vino. Il commissario straordinario di Expo Giuseppe Sala ha già fatto sapere che intende recedere solo nel caso in cui si ricandidi Pisapia. Il sindaco nega di averne intenzione, anche se a Palazzo Chigi vogliono sentirselo dire una volta per tutte. E Sala al premier piace. Anche perché non c’è un sondaggio che non lo dia vincente. Lo ha ammesso anche il capogruppo Ncd, Maurizio Lupi, come noto, uno dei pochi nel suo partito che vuole marcare la distanza con il Pd. Insomma, se Sala fosse, alla fine almeno metà dell’elettorato del centrodestra, stando ai sondaggi, convergerebbe su quel nome. Il che consente a Renzi di ragionare anche sulla possibilità di una rottura a sinistra. Altri nomi non ci sono in giro. Tra l’altro, Balzani ha già fatto sapere che non intende mettersi in contrasto con le decisioni del Pd nazionale.

 

Nel Pd c’è chi pensa che in realtà Pisapia giochi per un ticket Sala-Balzani, che gli garantisca di mantenere una sua sfera d’influenza su Milano. Per il resto, i sondaggi li ha visti anche lui. C’è anche chi, sempre nel Pd, ritiene che in realtà il primo cittadino punti molto più in alto. Ad avere un posto di ministro nel governo del rimpasto che verrà, ma Renzi, che non dubita della sua serietà, non ci crede e pensa che la partita sia molto più complicata e che non si possa risolvere con una poltrona, o uno strapuntino che sia da qualche altra parte.

 

Poi c’è Roma, dove il Pd è ridotto ai minimi termini. L’unica consolazione consiste nel fatto che i Cinque stelle non sembrano intenzionati a presentare un candidato di grido. Però il Pd, per come è messo, può sempre perdere. A un certo punto le sirene di Alfio Marchini si sono sentite anche al Nazareno. Ma poi, sia perché i sondaggi non sono esaltanti, sia perché, come Renzi ha ricordato più volte, il Pd “non può rinunciare a scendere in campo a Roma”, si sta decidendo per un uomo di partito. Un Pd sui generis, come Roberto Giachetti, al quale, due settimane fa, il segretario-premier ha ripreso a inviare sms per sondare la sua disponibilità. Disponibilità che al momento non c’è, come non c’era mesi fa, quando per la prima volta Renzi pensò a Giachetti. Ma il premier è convinto che il vice presidente della Camera alla fine capitolerà. Giachetti ha dalla sua due vantaggi, almeno agli occhi del presidente del Consiglio, anzi tre. Conosce la materia, essendo stato capo di gabinetto di Francesco Rutelli al Campidoglio, è un animale politico che sa gestire meglio lo scontro e il confronto con gli altri candidati, e ha con lui un buon rapporto. Chi però si oppone a di Giachetti è il commissario Matteo Orfini. L’avvento dell’ex capo di Gabinetto di Rutelli, infatti, vanificherebbe tutti gli sforzi che ha fatto per diventare il deus ex machina di Roma. A Roma, a dire il vero, sotto sotto, il premier sarebbe ancora tentato per il rinvio delle elezioni, ma sa che potrebbe essere rischioso per cui si sta già acconciando a immaginare la campagna elettorale del 2016 per la capitale. Stile porta a porta, versione Democratici per Obama.

 

[**Video_box_2**]Altra città, altra grana. Napoli è diventata una terra di nessuno, dove il Pd locale arranca. Antonio Bassolino è in campo più che mai. Ma l’ex sindaco ha un suo tallone d’Achille, oltre a quello della pregressa anzianità di servizio. Non sopporta il contraddittorio. E’ abituato alle vecchie campagne elettorali, perciò bisognerebbe far scendere in campo qualcuno in grado di contrastarlo e di stanarlo con efficacia. Ma i nomi della società civile finora circolati non sembrano rispondere ai requisiti, perciò la ricerca di un competitor di Bassolino non è ancora finita.