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Mediazioni, ricorsi storici e ambizioni presenti. La Chiesa alla prova della realtà

Adriano Sofri

La scoperta della lettera a Pio XII e la necessità per il papato di mantenere una posizione terza per provare a mediare. Il cardinale Zuppi a Mosca, gli orfani ucraini e il peso dei 260 mila minori deportati in Russia

Impressionanti incroci sui giornali di ieri. Il Corriere ha un editoriale di Paolo Mieli su “Vaticano-Mosca. La tela possibile”, titolo che fa pensare a una valutazione confidente nella cosiddetta mediazione vaticana sulla guerra. Vi si tratta però dell’impegno del cardinale Zuppi, delegato da Papa Francesco, per la restituzione all’Ucraina dei bambini deportati in Russia. Mieli sottolinea bensì che il successo della missione di Zuppi sui bambini sarebbe “il segnale offerto da Putin per entrare in gioco” – il gioco è la tessitura della “tela della pace”, rispetto alla quale il Vaticano sembra mostrarsi fiducioso, dopo il colloquio con un dignitario cinese e l’invito di Lavrov. Anche fuori da un simile ottimismo, Mieli segnala l’enormità della deportazione dei minori ucraini, citando la dichiarazione pubblica di un notabile russo, raccolta dal Guardian e da altre agenzie internazionali e mai smentita, secondo cui i bambini, “orfani o abbandonati”, “trasferiti in Russia” dai territori ucraini occupati, “per proteggerli dai bombardamenti”, sarebbero 700 mila (attenzione: non è un errore di stampa) dal 2014. A prenderla alla lettera, una delle più formidabili operazioni umanitarie di tutti i tempi. Quanto alle bambine e ai bambini deportati con la forza dall’Ucraina in Russia dopo l’invasione russa, sarebbero secondo gli Stati Uniti – che danno una cifra più moderata di quella ucraina – 260 mila. Per questo crimine di guerra sono imputati e ricercati dalla Corte penale internazionale Putin e la sua commissaria “per i diritti dei bambini” Maria Lvova Belova, la quale ha provveduto ad affiliarsene direttamente un certo numero. Questa signora è stata interlocutrice a Mosca del cardinal Zuppi, di santa pazienza – davvero.

Bene, la questione è nota e raccapricciante. La Russia ha già restituito in passato qualche spicciolo di bambini, piccolo benché benedetto fumo negli occhi. Ma il primo incrocio impressionante di cui dicevo sta nella combinazione, nello stesso giorno, con il cubitale titolo di apertura del Fatto: “Orfani ucraini. La ‘madre’ della 15enne disabile rimpatriata contro il suo volere: ‘Kiev mi ha strappato Anna: Meloni mi aiuti a riaverla qui”. Ho letto con attenzione: famiglie italiane hanno accolto bambine e bambini ucraini orfani dopo l’invasione, se ne sono prese cura, si sono reciprocamente affezionate. Le autorità ucraine chiedono il ritorno di alcune e alcuni di questi minori. Nel caso sollevato dal Fatto una signora siciliana lamenta che la quindicenne accolta nella sua famiglia sia stata rimpatriata contro la sua volontà. E contro ragionevolezza, dal momento che l’Ucraina in cui torna è un paese in guerra. La vicenda, come altre analoghe, è commovente. L’articolo che ne riferisce accenna di passaggio al proposito della “tutrice” ucraina di ricongiungere la ragazzina a un fratello dal quale era stata separata. E’ questo un tema cruciale delle adozioni dagli orfanotrofi ucraini – che non ospitano solo orfani – e che spesso separano fratelli e sorelle, una decisione dubbia e comunque crudele. Ma a ogni eventuale cinismo proprietario da parte delle autorità ucraine sarebbe giusto opporsi, e confidare che la giustizia minorile italiana competente sappia valutarne il merito. Resta un senso di surrealtà fra i due fatti paralleli, i 700 mila o anche “solo” i 260 mila bambini deportati con la forza in Russia, e la prima pagina gridata dal Fatto. (Che appena sopra si rallegrava che Kadyrov non stesse male come avevano detto i maligni). Si esita fra il lodare un’iniziativa delle più morali: chi avrà salvato – o soccorso – una sola bambina avrà soccorso l’umanità intera. O il tornare alla celebre presunta massima di Stalin: il rimpatrio di una bambina è una tragedia, la deportazione di centinaia di migliaia è una statistica. Questione di titolisti.

C’era un altro incrocio, e proprio a poche pagine di distanza sul Corriere. Con la pagina di commenti di storici alla lettera ritrovata negli archivi vaticani da Giovanni Coco, e pubblicata sulla Lettura, in cui il gesuita Lothar König informava, il 14 dicembre 1942, l’anno più orrendo, il segretario personale di Pio XII sopra lo sterminio quotidiano di “6.000 uomini, soprattutto polacchi ed ebrei” nel campo di Belzec. Mi dispiace che Giovanni Miccoli non abbia vissuto per vedere questo documento. Che in realtà non dà una notizia, dà una conferma. Andrea Riccardi, che ne è convinto, commenta che “Pio XII intendeva mantenere una posizione di imparzialità nel corso della guerra per svolgere un’azione umanitaria di soccorso e magari riservarsi uno spazio di mediazione tra le parti in conflitto. Non voleva correre il rischio di apparire schiacciato sulle posizioni degli Alleati”. E’ abbastanza inevitabile pensare, ogni differenza considerata, alla posizione e all’ambizione della Chiesa di oggi.

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