Un deposito di grano bombardato nella regione di Odessa (Ansa)

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La fame di grano generata dalla guerra di Putin è un sacrilegio

Adriano Sofri

La posizione russa è perfezionata nella sua infamia dalla promessa (tirchia) di “regalare” ad alcuni paesi africani un po’ dei cereali di cui hanno bisogno attingendo al raccolto russo. L’indulgenza per Putin non ha niente di meglio di quella per Stalin quando si parla di Holodomor

Del Holodomor, la carestia del 1932-33 che provocò milioni di morti di fame, e migliaia di morti ammazzati dalle corti sovietiche, si discute ancora accanitamente, oltre che sul numero delle vittime, sul proposito della collettivizzazione forzata nelle campagne di annichilire la cultura e il sentimento nazionale ucraino. Chi crede a una simile intenzione, ormai una netta maggioranza sia fra gli studiosi che nelle istituzioni internazionali, parla di genocidio. Il primo a definirlo così fu lo stesso inventore del termine di genocidio, Raphael Lemkin. Chi lo nega – mettiamo da parte intanto la denominazione di “negazionismo”, che comporta un giudizio morale – è mosso o da un’interpretazione diversa della documentazione pertinente, o da una relativa indulgenza, se non da un’aperta simpatia, nei confronti di Giuseppe Stalin.

Ora, in un contesto enormemente differente, si sta svolgendo sotto gli occhi del mondo intero (che erano molto più distanti e accecati in quegli anni 30) una campagna bellica di distruzione materiale e di dissipazione del grano e degli altri prodotti agricoli ucraini, arrivata al secondo raccolto. Parzialmente riparata l’anno scorso dagli accordi negoziati fra la Russia e la Turchia, col sostegno delle Nazioni Unite, quest’anno la campagna si è finora sviluppata con una sistematica attività di bombardamenti sui magazzini del grano e dei cereali ucraini destinati all’esportazione. Cioè: una parte strategicamente essenziale della guerra condotta dalla Russia sul territorio nazionale ucraino consiste nel pubblico bombardamento del pane di cui, si continua a ricordare, il mondo più povero è affamato. L’orrore – e il sacrilegio, universale, e specificamente russo, del paese del “pane e sale” – di questo aspetto della guerra è solo apparentemente colto dall’opinione del resto del mondo. I negoziati ventilati e falliti sui corridoi marittimi per il trasporto del grano guadagnano sì titoli e attenzione, ma pressoché esclusivamente come ingredienti del complessivo congegno delle diplomazie e dei rapporti fra gli stati contraenti. Molto meno per il loro significato materiale e simbolico rispetto a una guerra nella quale, letteralmente, si avvelenano i pozzi. La posizione russa è perfezionata nella sua infamia dalla promessa (tirchia) di “regalare” ad alcuni paesi africani un po’ dei cereali di cui hanno bisogno attingendo al raccolto russo. Distruggo all’ingrosso il grano che aspetti, nei depositi a cielo estivo in cui splende della sua bionda maturità, e infilo la mano nella saccoccia del mio grano per tirarne fuori una mancia da gettarti fra i piedi.

L’indulgenza per Putin non ha niente di meglio di quella per Stalin. Dei personali venti milioni di morti di Stalin, Koba il terribile, denunciava Martin Amis, si trovava il modo di fare una risata – con Hitler non si sarebbe potuto. Di Putin è ancora caldo, per così dire, il letto, è ancora stirata la maglietta del leghista nella Piazza Rossa. La forma più tipica e sottile dell’indulgenza per Putin non è tuttavia quella dei suoi tifosi e prezzolati di poco fa, ora più o meno assorti a fischiettare distrattamente, bensì quella di chi comincia ogni suo discorso con la premessa d’obbligo: “La Russia di Putin, che è certo l’aggressore, e non occorre ripeterlo…”, per passare ad altro, ad altri. La Russia di Putin, che è certo l’aggressore recidivo, che è la cupola mafiosa che si è appena liberata alla svelta della ennesima e più micidiale cosca asservita e fattasi rivale, che è l’assassina di tutte e tutti i suoi oppositori civili e inermi, e quando il polonio non le basta li soffoca nelle galere più brutali, che è l’alleata di ogni stato canaglia e anzi è diventata capace di incanaglire ogni stato che le si allei – la Russia di Putin, la consorte militare e civile della Corea del nord di Kim Jong-un… E ora passiamo pure ad altro, ad altri.

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