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piccola posta

A Odessa, senza i ritratti di Zelensky e con la storia di un ciclista

Adriano Sofri

Diecimila passi nella città: la statua di Caterina sdraiata, il pittore Aivazovsky conteso con i russi. E poi Daniele Panarella, marchigiano, di ritorno da Capo Nord: un'invasione su due ruote

Odessa, dal nostro inviato. Le grandi reti tv e i grandi giornali internazionali hanno chiesto ai loro inviati di raccontare il Capodanno dell’Ucraina in guerra, al buio e al freddo. Io scrivo l’ultimo pezzo dell’anno alla vigilia della vigilia, venerdì 30: un giorno come un altro. Non ho argomenti, grazie al cielo – al cielo, davvero, è da là che arriva quotidianamente il diluvio di argomenti. Al contrario, il cielo di oggi riserva a Odessa (finora) un’altra giornata di gala, di sole e di azzurro. Dunque farò una passeggiata.

Al Teatro Nazionale, per cominciare. Ieri c’era un concerto “Nell’abbraccio del tango”, Piazzolla, Gardel, Galliano... Il programma prometteva “un altro mondo parallelo con leggi proprie. Un’altra filosofia e un’altra realtà, dolce prigionia di musica, amore e fantasia...”. Non dovevo mancarlo. Il programma di oggi è più di maniera. Al Teatro, che ora è libero dai sacchi di sabbia, non mancano mai le coppie appena sposate che vengono a farsi le fotografie. La sposa del momento è una vera bellezza, la fotografo anch’io, è in bianco con uno spacco che altri direbbero vertiginoso. Parlo un po’ con la madre della sposa, che se ne sta in disparte coi fiori in mano e gli occhi umidi, e ai miei auguri risponde sospirando: “Voglia il cielo”, appunto. Nella piazza Katerynins’ka – si chiama ancora così? – al posto del gran monumento garrisce la bandiera. Le statue del gran monumento, la zarina e i 4 fondatori, sono sdraiate per terra – una profana Deposizione, infatti – nel giardino del Museo d’Arte, nel Palazzo Potocki, in via Sofyiska.

La gente ci gira attorno e le fotografa, finalmente, dall’alto in basso. Dentro ci sono (o c’erano, forse sono stati messi al riparo) parecchi Kandinsky giovanili, e molti dipinti di Ivan Aivazovsky, il grande pittore ottocentesco di marine nato in Crimea da una famiglia armena trasferita in Polonia, e negli ultimi anni conteso alla Russia dall’Ucraina. Finché, come ho appreso l’altro giorno a Kherson, i russi hanno portato via dal museo di Kherson quasi 15 mila quadri, compresi i capolavori di Aivazovsky, e perfino le suppellettili degli uffici e dei bagni, così risolvendo la contesa. Cosa loro. 

Le fedeli signore del Centro culturale polacco hanno deposto un lumino rosso ai piedi della statua di Adam Mickiewicz, che incede col vento che gli agita il mantello all’ingresso del viale Alexandrovsky. A metà giornata, dal balcone del teatro del Balcone in Alexandrovsky si tiene il solito concerto gratuito di jazz e repertorio di canzoni americane dell’epoca d’oro. 

Passo davanti alla casa in cui abitò Vladimir Majakovskij, “poeta russo sovietico”, dice la lapide. Al Giardino comunale si concentrano le attrazioni. Quelli che ti fanno la fotografia con le colombe bianche dalla gran coda aperta a ventaglio. Quelli che noleggiano un paio di cavalli e un piccolo pony con la sella rossa. Quelli vestiti da Topolino, e, oggi quattro o cinque Babbi Natale, vestito rosso e barbone bianco, uno in triciclo. Uno, cui la barba candida si sposta facendo vedere una faccia di ventenne, sta cercando di vendere a due signore sull’ottantina dei suoi souvenir, e loro lo ascoltano bonariamente. Una signora annuncia al megafono la partenza del trenino per il tour del lungomare, Langeron e Arkadia. Nel Passage, una ragazza guarda di qua e di là e si rifinisce il rossetto dentro la grande parete di specchio. Passo davanti alla casa in cui visse e morì Lev Pushkin, fratello minore di sei anni di Alexander, che gli sopravvisse 15 anni e morì, si dice, portandosi nella tomba tante poesie inedite di Alexander che solo lui conosceva a memoria. In tutta la passeggiata – ormai sono vicino ai 10 mila passi fatidici – non ho visto una sola fotografia o un solo ritratto di Zelensky, che è la cosa che mi colpì favorevolmente fin dal primo giorno. In cambio, leggo sul Kyiv Independent articoli che criticano il decreto controfirmato da Zelensky sulla composizione della Corte Suprema, che la Commissione di Venezia avrebbe voluto con una maggioranza di esperti stranieri. E articoli sui comportamenti censurabili di militari ucraini.

Passo davanti alla casa natale di David Ojstrach, cui è stato intitolato, insieme al figlio e anche lui gran violinista, l’asteroide 42516. Questa dell’asteroide non la dico per caso: è che da ieri a Odessa si parla di un ciclista italiano, marchigiano, Daniele Panarella. Il giovane Panarella si è infatti laureato in astrofisica, e subito dopo ha deciso di intraprendere il viaggio in bicicletta che era sempre stato il suo sogno, fino al Capo Nord. Arrivato a Capo Nord, ha pensato di continuare il giro, è passato in Svezia e in Finlandia, poi è sceso dai Paesi baltici, e giacché c’era è entrato in Ucraina e ieri è arrivato a Odessa. Poi andrà a Istanbul e da lì il ritorno a casa sarà a una pedalata. Io non l’ho ancora visto, ma ne sono estasiato. Non vedo Instagram, ma voi sì, e trovate tutto. C’era bisogno di un’invasione dell’Ucraina così, su due ruote. Buon anno.

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