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La perla di Odessa al freddo e al gelo ricorda Sarajevo

Adriano Sofri

Olena Zelenska ha detto che la gente ucraina saprebbe affrontare due, tre inverni come questo. E’ vero, Sarajevo ne affrontò quattro. Morendone, divenendone grigia, livida, sdentata, calva, a volte pazza, a volte santa

Nell’estate abbagliante trascorsa a Odessa, mi tenevo addosso come un’ombra tetra il ricordo della Sarajevo assediata e dei suoi inverni gelidi e affamati, senza gas, senza luce, senza acqua. “Nema plin, nema struje, nema voda” – lo si ripeteva ormai come una litania di umor nero. A Odessa era estate, il suo sole famoso splendeva, erano arrivati missili sporadici, c’era la luce, c’era il gas, c’era l’acqua, veniva raccolta per trasportarla in bottiglie e taniche a Mykolaiv, dove l’acqua mancava e le bombe erano e sono quotidiane. Ora Odessa ha il suo inverno di gelo e di buio. La guerra vile – e criminale – della Russia in ritirata ha trovato la sua arma prediletta. Ci sono dei generatori in funzione. Servono a far reggere reparti di ospedali, qualche ufficio e negozio pubblico, qualche locale privato – il ristorante riaperto finalmente del nostro amico Roberto e dei suoi ragazzi – qualche albergo, a ore. Non si muove un solo tram nella città dei tram. Non si accende un semaforo, un lampione. Le ore che precedono il coprifuoco sono illuminate da qualche faro d’auto e dalle lucine dei telefoni, che poi devono trovare un modo per ricaricarsi. Che i telefoni prendano o no è un azzardo. Molti negozi e supermercati hanno chiuso, i prezzi montano, signore imbacuccate siedono dietro banchetti con due candele accese.

Qualche giorno fa le autorità hanno raccomandato agli abitanti che possono di lasciare la città e rifugiarsi altrove, avvertendo che la distruzione è tale da non far sperare nel ripristino prima di mesi. L’altroieri Zelensky ha detto che comunque non sarà questione di ore ma di giorni, chissà quanti. Ieri il capo della regione militare, Maxim Marchenko, ha avvisato la popolazione che non si comunicheranno più date e orari di ripristino della corrente e di riparazioni, perché il nemico se ne serve per continuare a colpire. Ha chiesto di capire e scusare: “Ogni volta che l’elettricità tornerà, ce ne accorgeremo”. Centinaia di migliaia di persone affrontano questo, e fra loro ci sono le tante persone di stracci che già nell’estate si muovevano all’addiaccio, frugando nei cassonetti, chiedendo l’elemosina o vergognandosi di chiederla, stando in una lunga coda nei luoghi di distribuzione di aiuti. Olena Zelenska ha detto che la gente ucraina saprebbe affrontare due, tre inverni come questo. E’ vero, Sarajevo ne affrontò quattro. Morendone, divenendone grigia, livida, sdentata, calva, a volte pazza, a volte santa. A lume di candela – bisogna trovarle, le candele, reimparare a fabbricarle – si può parlare piano, si può scoprire di non avere niente da dirsi. 

E’ terribile avere la responsabilità della propria gente, anche quando la propria gente continua tenacemente a riconoscerla. Anche quando si mostra di volerne condividere il peso e il rischio. Ora Odessa non fa più eccezione. La perla è al freddo e al gelo e al buio, e aspetta il Natale.  

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