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Piccola posta

La rimozione del monumento di Caterina la Grande da Odessa

Adriano Sofri

La statua della zarina in città è stata portata via. Il vuoto nella piazza è un errore e, al contrario di quanto pensano i nazionalisti, costerà caro all’Ucraina che difende con coraggio la sua libertà

Odessa, dal nostro inviato. Veniamo al punto, per chi lasci la lettura dopo cinque righe: ieri mattina operai della municipalità di Odessa hanno smantellato il monumento a Caterina II nella celebre piazza a lei intitolata, per trasferirlo in un museo. Ne avevo scritto qui tante volte, ritenendo che fosse un errore e che, al contrario di quanto credono i più veementi nazionalisti, costi caro all’Ucraina che difende valorosamente la propria libertà. E ora cominciamo daccapo, dalla mattina di ieri. 

 

Mattina speciale, per la città, perché un così limpido azzurro in un 28 dicembre era un vero dono del cielo. Speciale anche per me, perché avevo per la prima volta in un soggiorno di mesi ricevuto il permesso di visitare la Scalinata Potjomkin. Be’, chiunque ci sia venuto da quando i russi hanno fatto guerra, e quel monumento celeberrimo è stato chiuso a tutti, giornalisti compresi, per ragioni militari. Dunque godevo ieri mattina di un vero privilegio, guadagnato grazie ai buoni uffici di amiche e amici odessiti, e con la condizione stretta di non fare fotografie: avrei visto e tenuto per me.

 

La mattinata così splendente di sole e di azzurro era solo la prima delle condizioni d’eccezione, così che il mio racconto, cui si può obiettare di abusare di una pagina pubblica per attardarmi sui fatti miei, troverà una robusta giustificazione. D’altra parte il mio modo di prendere i panni dell’inviato di guerra somiglia a quello dell’aspirante autore di una guida turistica, con la differenza che la mia intende essere una guida di Odessa, per esempio, ma di un’Odessa in tempo di guerra. Intanto, sia detto per chi la scalinata non abbia visto mai se non al cinema, e a memoria di chi non ne serbi un ricordo fresco, il luogo sta così: c’è la piazza di Caterina col monumento che continua nello slargo attraversato dal grande viale, il Primorsky Boulevard, sul quale si affacciano magnifici palazzi; al centro dello slargo sta il monumento (1828) al Duca di Richelieu, discendente del più famoso e governatore di Odessa dal 1803 e poi dell’intera Nuova Russia (e poi primo ministro di Francia), in una posa magnanima di imperatore romano.

 

E da lì in giù, la scalinata che scende al mare dopo 27 metri di altezza e 142 di lunghezza e 192 gradini, fatta all’origine di marmo grigioverde triestino di Muggia e poi di granito rosa ucraino, e ricca di illusionismi ottici. Bene: proprio oggi, facendo tesoro della bella giornata, un folto gruppo di restauratori ha liberato per la prima volta il Duca dalla struttura di sacchetti di sabbia che lo copre e ripara dall’inizio della guerra, per ripulirne e lucidarne il bronzo, sui cui bordi il sole si è messo a giocare tra il verde e l’oro. Peccato non poterlo filmare e fotografare, ma la consigne c’est la consigne, come diceva, se non il Duca, il Piccolo principe. In cambio c’è, a sovrintendere ai lavori, il giovane brillante capo stampa del sindaco Truchanov, Nikolay Pokrovskiy, che fotografa e filma tutto, e conto su lui. 

 

La scalinata è interrotta a un terzo da un rotolo di filo spinato, ma la vista sul mare, sul porto e la stazione marittima, è incomparabile. (Spaccata in due dal brutale grattacielo di un Hotel Odesa, del quale immagino che siano i cittadini ad augurarsi la rimozione, e infatti sento dire che la rivendicano da tempo). 

 

Il divieto di fotografare è in realtà un vantaggio, permette di guardare tutta questa bellezza coi propri occhi, i miei oltre che della mia accompagnatrice, fotografa di professione, Anna Golubovskaya, invece di farla guardare dal mio accidenti di telefonino e spedirla frettolosamente ai parenti. La tengo per me. Quando finalmente decidiamo di tornare fuori, esibire il telefonino immacolato ai soldati di guardia e risbucare nella piazza, troviamo che la tanto aspettata, da alcuni, e paventata, da altri, la maggioranza in città, rimozione della statua di Caterina è in pieno corso, tirata via pezzo per pezzo l’impalcatura che l’ha nascosta agli sguardi (e alle offese) da un paio di mesi, un grosso camion gru che le armeggia attorno, mentre via via riemergono alla vista, dall’alto in basso, l’imperatrice, nei suoi colossali tre metri, e i suoi 4 “cofondatori” (almeno due dei quali amanti), un napoletano, un fiammingo, due russi.

 

È la seconda volta che succede. Progettato nel 1894, inaugurato nel 1900, il monumento era stato rimosso nel 1920 dal regime sovietico e le sue membra disiecta qua e là, fino al restauro nel 1995 e la reinaugurazione nel 2007, fra cittadini fieri di aver restituito alla piazza la statua (non la zarina, ma la statua: c’è una differenza) e altri schiamazzanti per il sacrilegio. Oggi, mentre una piccola folla si raccoglie via via attorno all’impresa, soprattutto di fotografi e operatori ucraini (c’è anche il New York Times), cittadini offesi e immalinconiti dallo smantellamento, e all’opposto cittadini trionfanti, si distinguono a prima vista. I secondi corrono da un’intervista all’altra, per trionfare appunto, i tristi se ne stanno mogi, in silenzio e in disparte.

 

Di questo giorno ricorderanno meno il sole e più il freddo. Le autorità, che avevano concluso per la rimozione a novembre, dopo aver a lungo oscillato e dopo referendum dall’esito controverso, hanno avuto oggi una sfortuna e hanno commesso uno sbaglio materiale. La sfortuna è la giornata così bella: le belle giornate non si addicono ai funerali. Lo sbaglio sta nell’avere avvolto come una mummia la statua di Caterina dentro la plastica nera dei sacchi da spazzatura, gli stessi sacchi neri che si impiegano per metterci dentro i cadaveri nell’urgenza delle guerre e degli altri disastri. Per di più c’è un vento che solleva i lembi di plastica nera ai piedi della statua, come per far guardare sotto le cottole della zarina. 

 

Sul cartello che illustra(va) il monumento leggo i nomi di coloro che nel 2007 ne aiutarono la ricostruzione: Oleg Gubar, Michael Poyzner, Alexander Drozdovskiy, Michael Prigarin, Igor Schklyaev, Michael Kuchuk, Michael Reva – e “molti altri”. 

 

È finita così dunque. Caterina “la Grande”, “la tedesca”, fu colei che forzò l’assimilazione delle minoranze e mise fine all’autonomia dei cosacchi di Zaporizhia, ma fu anche colei che volse al femminile il nome di Odisseo assicurando la gloria donnesca della città. Si dirà che è il solito dilemma fra pessimisti e ottimisti: la città mezzo piena o mezzo vuota. Questa notte, quando i lavori saranno completati, andrò a vedere la piazza, tutta vuota. 

 

La conclusione provvisoria l’avevo già scritta, dal mio punto di vista, il punto di vista di chi, solidale, non direbbe mai a un ucraino a quali condizioni dovrebbero smettere di battersi. Dicono, i fautori della tabula rasa, che i nostalgici sono i vecchi, e che la nuova Ucraina deve solo lasciare il passo ai giovani e ai bambini. Non c’è dubbio che un vecchio somigli a una statua di bronzo o di pietra molto più di un giovane. Ma una donna anziana, un uomo vecchio, non sono affezionati a una zarina, e in genere la sanno molto più lunga sui delitti di zarine e piccoli padri. Sono affezionati al mondo, ai suoi alberi, alle sue piazze. Sono affezionati a Odessa. E le cose che hanno visto, i più vecchi dei vecchi, dicono loro che si comincia da Caterina e si finisce a Isaak Babel’. Di nuovo.

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