Foto di Dmytro Kozatskyi/Azov Special Forces Regiment, via AP 

piccola posta

Che coraggio i maramaldi che insultano i superstiti dell'Azovstal

Adriano Sofri

Certo, i proclami fieramente ripetuti – “non ci arrenderemo mai! la resa non è nel novero delle nostre opzioni!” – avevano rischiato di renderli prigionieri delle parole e del culto del sacrificio supremo. Ma il giudizio diffuso in Italia su questa resa è inspiegabile

Devo aver mancato alcuni recenti passaggi, e non so spiegarmi il giudizio diffuso sulla resa dei superstiti dell’Azovstal come una macchia sull’onore e una disfatta simbolica della difesa ucraina. Certo, i proclami fieramente ripetuti – “non ci arrenderemo mai! la resa non è nel novero delle nostre opzioni!” – avevano rischiato di renderli prigionieri delle parole e del culto del sacrificio supremo, quello che risuona nelle motivazioni delle medaglie alla memoria e si guadagna il rispetto un po’ ammirato un po’ costernato degli altri, della vita e della morte ordinaria. 

Le Termopili, Masada, attirano lo scherno degli spettatori quando non avvengono fino al sipario calato sui corpi esanimi. Ma erano trascorsi 86 giorni, si erano cumulati i morti e i feriti, armi e cibo erano esauriti: era senz’altro probabile che quei siderurgici traessero, dall’euforia e dalla disperazione, la determinazione a immolarsi. E c’era da temere che il loro capo a Kyiv – un capo contestato fino alla vigilia del 24 febbraio – scegliesse di incassare la rendita dell’immolazione, e insieme di riscattare la pretesa della “denazificazione”. Se fosse andata così, l’eroismo dei difensori di Azovstal si sarebbe completato col cinismo di Zelensky e del suo governo. Non è andata così. Zelensky, dicono i commenti, ha ordinato la resa perché il martirio finale di Mariupol avrebbe messo una pietra sopra ogni possibilità futura di negoziato. Forse. Forse ha pensato davvero che, quando battersi non sia più possibile, ci sia bisogno di “eroi” vivi. Dando quell’ordine, Zelensky ha preso su sé anche l’umiliazione inflitta agli arresi e a quelli fra loro che si erano tatuati addosso una fedeltà ripugnante. (Bisognerà riflettere alle pretese dei tatuaggi, di mafia, di politica, di confessione, quando si vogliono incancellabili. Uno degli arresi, interpellato, ha detto malinconicamente: “Errore di gioventù”).

Chi oggi, mentre quei combattenti diversi affrontano il più oscuro dei destini, li taccia di pusillanimità o di viltà, ha davvero un gran coraggio. Guardi le fotografie che il giovane Dmytro Kozatsky, “Orest”, ha scattato a memoria del sottosuolo e dei suoi abitatori, e affidato al mondo, confidando, chissà, nella menzione di un concorso fotografico. Insultarli, è l’ennesimo tic del paese di Maramaldo. 

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