La giustizia di Mosca e di Kyiv con la guerra in corso

Micol Flammini

L’ergastolo al sergente russo e il processo ai prigionieri di Mariupol. Il leader della repubblica popolare di Donestk vorrebbe l'istituzione di un tribunale internazionale nella sua regione per processare gli uomini evacuati dall'acciaieria. Cosa significa per Putin, per Kyiv e per i confini di questo conflitto

Vadim Shishimarin è il primo soldato russo a essere processato per crimini di guerra in Ucraina e ieri è stato condannato all’ergastolo. Ha ventuno anni, viene dalla Siberia, dalla regione di Irkutsk, e davanti al Tribunale distrettuale di Solomyanskiy  si è dichiarato colpevole di aver sparato a un uomo disarmato, che l’arrivo dei russi nella regione di Sumy aveva colto mentre era in sella alla sua bicicletta. Alla domanda del perché avesse preso la decisione di uccidere un uomo che non costituiva una minaccia, Shishimarin ha risposto di aver eseguito gli ordini, e questa risposta la sentiremo spesso nei processi per crimini di guerra che l’Ucraina intende portare avanti. Il Cremlino ha fatto sapere di non essere stato in grado di aiutare il soldato e, sapendo che Kyiv ha raccolto prove su oltre 12.000 presunti crimini di guerra che riguardano oltre 600 sospetti, molti si ritroveranno nella situazione di Shishimarin. La moglie dell’uomo ucciso nella regione di Sumy ha assistito al processo, ha voluto parlare direttamente con il ragazzo e ha detto di essere favorevole anche a uno scambio di prigionieri: lasciar andare il soldato per il ritorno dei combattenti dell’acciaieria Azovstal di Mariupol. 

 

Denis Pushilin, capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, ha dichiarato che i combattenti del battaglione Azov devono essere processati. Da giorni a Mosca si discute di cosa fare degli uomini evacuati, un bottino prezioso nelle mani del Cremlino che ora deve soltanto decidere se vuole usarli per ottenere concessioni a livello internazionale o se vuole darli in pasto a quei russi che ritengono che i combattenti debbano essere processati: sono loro i nazisti. Pushilin ha vissuto la resa di Mariupol come se fosse un suo successo, ha sfilato per le strade della città il 9 maggio, come se quelle macerie a cui Mariupol è ridotta fossero già sue: la punta sud della sua repubblica. Di conseguenza anche i combattenti sono i suoi, e Pushilin ha detto che il processo contro di loro si terrà a Donetsk. Mosca non ha dato conferme, ma se davvero sta prendendo in considerazione di lasciarli nelle mani dei filorussi dell’est ucraino vorrebbe dire riconoscere alla repubblica un ruolo legislativo al pari di quello della Russia e inoltre vorrebbe dire lasciare  i combattenti a coloro che li odiano di più. La cornice che Pushilin immagina per il processo è quella di un tribunale internazionale, con il particolare che la comunità internazionale  non lo riconoscerebbe. Qualsiasi verdetto dovesse uscire da Donetsk avrà valore soltanto nella repubblica filorussa e a Mosca.  Pushilin  non è il primo  a suggerire l’idea,  anche funzionari più vicini al presidente russo avevano espresso l’idea di creare  una giustizia internazionale gestita dalla Russia e rivolta alla Russia che potrebbe avere un suo statuto. 

 

L’Ucraina si aspetta che i combattenti dell’acciaieria vengano invece riconsegnati tramite uno scambio di prigionieri, questi sono i patti, e Mosca si sta tenendo aperta anche questa porta. Il ministero degli Esteri non ha escluso che se ne  stia parlando  e ieri il deputato Leonid Slutsky aveva detto che si sarebbe potuto ragionare di uno scambio con Viktor Medvedchuk. Medvedchuk è l’oligarca ucraino filorusso catturato durante la guerra per il suo sostegno alla Russia e la collaborazione con il Cremlino. Finora i russi si sono sempre rifiutati di aiutarlo e ieri Medvedchuk ha fatto un video per raccontare di aver aiutato Petro Poroshenko, l’ex presidente ucraino, a concludere affari con Mosca: l’accusa è grave e il processo a carico di Poroshenko per la collaborazione con la Russia è aperto già da alcuni mesi, è il primo presidente dell’Ucraina dopo Euromaidan, e queste accuse lo mettono in una posizione molto sconveniente. La proposta di scambiare i combattenti di Azovstal per Medvedchuk non ha avuto però molto seguito.

 

Ieri sera una fonte raccontava all’agenzia russa Interfax che il processo ai combattenti potrebbe tenersi proprio a Mariupol. Nel fine settimana Mosca ha pubblicato un video che mostra un tour di quel che rimane dei dintorni dell’acciaieria: macerie. A parlare sono un soldato e un giornalista e descrivono l’assedio come se fossero gli occupanti a dover resistere all’attacco degli aggrediti. Raccontano la distruzione come se fosse causa di chi resisteva e non di chi aggrediva.  I prigionieri di Azovstal servono ancora molto alla propaganda di Mosca, sono merce di scambio e materiale importante per il racconto che il Cremlino vuole fare di questa guerra. Sia in Ucraina sia in Russia hanno accelerato le tappe per i processi, che di solito si svolgono a guerra finita, quando ormai è chiaro chi sia il vincitore e chi il vinto. Il fatto che  i due paesi abbiano iniziato già, che ognuno è pronto a rivendicare la sua giustizia internazionale – alla raccolta delle prove dei crimini di guerra dei russi partecipano varie nazioni, quindi è davvero sotto una luce internazionale – allontana ancora di più la conclusione di questa guerra.  Aggiunge un confine nebuloso tra la sconfitta e la vittoria, che invece, se l’Europa, l’Ucraina e la Russia vorranno davvero fare i conti con quello che è accaduto dal 24 febbraio, dovrà essere netto. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.