(foto Ansa)

Piccola Posta

La non interferenza di Erdogan sulle questioni giudiziarie in Turchia è uno scherzo

Adriano Sofri

Il presidente si oppone alla liberazione del fondatore del Hdp Demirtas e del filantropo Kavala: ha anche liquidato Bülent Arinç, figura di spicco del regime

Tra le formule retoriche capaci di dire l’uomo – esempio: “Io non sono razzista, ma…” – va annoverata l’ultima di Recep Tayyip Erdogan: “Io non posso interferire con le questioni della giustizia, ma sappia ognuno che noi non proteggeremo i cosiddetti diritti di un terrorista, specialmente di uno come Selahattin Demirtaşs”. Demirtas, già fondatore e co-leader del Hdp, il Partito democratico dei popoli, è in galera da quattro anni, e con lui una decina di parlamentari e numerosi sindaci curdi. Le accuse mosse contro di lui prevedono condanne a un secolo e mezzo. La loro infondatezza e l’illegalità dei procedimenti hanno portato sia la Corte costituzionale turca sia la Corte europea dei diritti umani a ordinarne la scarcerazione, invano, perché ogni volta, a poche ore dalla liberazione, un’altra corte compiacente muoveva nuove imputazioni. Alla fine di novembre era stato Bülent Arinç a chiedere pubblicamente il rilascio di Demirtas, e di Osman Kavala, filantropo e difensore dei diritti, anche lui imprigionato quattro anni fa con accuse infondate. Arinç, già presidente dell’Assemblea nazionale e vice primo ministro per il partito di Erdogan, l’Akp, figura di spicco del regime, ebbe da noi il suo malaugurato quarto d’ora di notorietà per un discorso sulla castità femminile corredato dall’appello alle donne “a non ridere in pubblico”, seguito da una magnifica mobilitazione di risate muliebri.

 

Per la posizione sui due detenuti è stato attaccato violentemente da Devlet Bahceli, capo del partito di estrema destra Mhp e uomo forte dell’alleanza di governo erdoganiana, per il quale Demirtas è un terrorista e Kavala un “sorosista”, adepto di George Soros. Liquidato anche da Erdogan, Ariınç è stato costretto alle dimissioni da alto consigliere del presidente. Aveva detto in particolare di aver letto l’ultimo libro di Demirtas, scritto in carcere durante la pandemia, “Devran” (Destino), e di essersi augurato che tutti lo leggessero, e cambiassero il sentimento sui curdi. Il regime turco ha appena comminato 337 ergastoli per il tentato colpo di stato del 2016, che si aggiungono a migliaia di precedenti, ma intanto, mirando a ingraziarsi opinione e investimenti internazionali, ha annunciato riforme giudiziarie. Quelle appunto che hanno suggerito a Erdogan le frasi famose: “Io non posso interferire ma… Io credo che i nostri giudici non offriranno alcuna opportunità a un terrorista come Selahattin Demirtas”. Ci si può contare. 

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