Donne marciano a sostegno della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza contro le donne a Istanbul, domenica 19 luglio 2020

Quel filo sorprendente che in nome dei diritti lega la Polonia alla Turchia

Adriano Sofri

Quei governi che vogliono abolire la convenzione di Istanbul e la battaglia contro la violenza nei confronti delle donne

Non è facile ricordarsi dove sta andando il mondo, dietro lo zelo della correttezza politica. Vediamo: abbiamo una coincidenza spettacolare a portata di mano. Il ministro della Giustizia del governo polacco, Zbigniew Ziobro, esponente di un partito minore di estrema destra nella coalizione guidata dal PiS, Diritto e giustizia, aveva annunciato che avrebbe presentato ieri, lunedì, ai ministeri della famiglia e del lavoro un progetto di uscita dalla Convenzione di Istanbul. La Convenzione “sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, secondo la destra e la chiesa polacca, promuove l’ideologia del gender e usurpa i diritti dei genitori. Venerdì manifestazioni di donne si erano svolte a Varsavia e in altre città polacche, denunciando il proposito di “rilegalizzare la violenza domestica”. Domenica la portavoce del PiS, Anita Czerwinska, ha detto che “non c’è ancora una decisione, né una convinzione comune. Il ministero ha una sua opinione, se ce la sottoporrà la prenderemo in esame”. La campagna contro la Convenzione, promossa dall’estrema destra bigotta, era stata già cavalcata dal candidato del PiS alle recenti elezioni presidenziali, Andrzej Duda, vincitore di misura nel ballottaggio all’inizio di questo mese. Duda aveva proclamato che la difesa dei diritti lgbt è “più distruttiva del comunismo”.

   

La Convenzione, promossa dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, è stata sottoscritta da 45 paesi oltre che dall’Unione europea, e ratificata da 34, compresa l’Italia. In maggio era stato il parlamento ungherese, sequestrato da Orbán grazie alla legge speciale sulla pandemia, a rifiutare la ratifica della Convenzione, denunciando in particolare il riconoscimento del rifugio ai perseguitati per discriminazioni legate al sesso. La stessa cosa è avvenuta in Slovacchia. La Polonia aveva ratificato la Convenzione nel 2015, quando, ancora per poco, governava la Piattaforma civica: dunque nel suo caso non si tratterebbe del mancato perfezionamento dell’adesione alla legge, ma del rovesciamento dell’adesione già votata.

 

Fa impressione che negli stessi giorni la Turchia, la cui capitale ospitò la Convenzione e le diede il nome, e che la ratificò già nel 2012, sia attraversata da manifestazioni, anche qui con una grande e forte partecipazione femminile, contro l’intenzione del regime di rinnegare la Convenzione. In particolare, un’onda di manifestazioni è stata suscitata dall’assassinio, il 16 luglio, di una giovane donna curda, Pinar Gültekin, 27 anni, che si era appena laureata in economia nella città di Mugla, nella Turchia mediterranea. I resti del suo corpo sono stati ritrovati dopo cinque giorni in un bosco. L’assassino confesso ha 32 anni, era stato per un tempo fidanzato con lei, poi si è sposato e ha avuto un figlio. Ha cercato Pinar e, respinto, l’ha picchiata e strangolata. Ha messo il corpo in un bidone usato per la monnezza, poi è andato a un distributore a comprare la benzina per dargli fuoco, e ha cercato di coprirlo col cemento. Le fiamme, nella calura secca dell’estate, hanno allarmato un vicino. L’uomo è stato arrestato mentre si procurava altra benzina alla pompa.

    

I genitori e i fratelli di Pinar si preparavano a riaccoglierla nel villaggio di Hizan (provincia di Bitlis, nel sudest, all’altro capo del paese), dove sarebbe rientrata in tempo per la ricorrenza di Eid el Adha, la Festa del sacrificio, che quest’anno arriva il 30 luglio. Pinar era la sola di cinque fratelli che aveva potuto studiare. Diceva di voler diventare sindaco o governatrice di una provincia. Aspettava di andare a perfezionarsi in Inghilterra o negli Stati Uniti. Qui potete guardare un breve e commovente video su lei e i suoi. Le cifre sui femminicidi in Turchia sono controverse. Secondo la piattaforma fermiamo i femminicidi sono stati 474 nel 2019, triplicati rispetto al 2013, e “almeno 146” nei primi sei mesi di quest’anno. L’Osservatorio sui diritti umani che ha sede nel Regno Unito ha accertato all’inizio dell’anno circa 120 uccisioni di donne, in 8 casi su 10 commesse da loro partner o membri della famiglia. Le violenze domestiche si sono moltiplicate con le restrizioni della pandemia.

    

Il 2 luglio, il vicepresidente dell’Akp, il Partito della giustizia e dello sviluppo di Erdogan, Numan Kurtulmuş, aveva denunciato in tv la Convenzione di Istanbul come uno strumento indebito caduto nelle mani di lgbt e “elementi emarginati dalla società”, per minare i valori della famiglia.

 

Chiese o moschee, c’è anche questa Internazionale nel nostro mondo.