Donald Trump (Foto LaPresse)

Con i pasdaran nella lista nera s'avvicina la guerra tra gli Stati Uniti e l'Iran

Adriano Sofri

La mossa di Trump non è lontana dalla definizione di Teheran come stato canaglia. L’imbarazzo dell’Europa è comprensibile ma…imbarazzante

Qualunque peso si voglia dare o, magari, togliere alle frenetiche decisioni di Donald Trump, l’iscrizione dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, i pasdaran, e il loro braccio internazionale, Quds, nella lista delle organizzazioni terroriste dal prossimo 15 aprile, rende più probabile una guerra fra Stati Uniti (e Israele, e Arabia Saudita) e Iran (e tutti quelli che sapete figurarvi). Ci si può consolare sottolineando i propositi corti della misura, prima di tutto la sua coincidenza esatta con le elezioni israeliane. Netanyahu si è affrettato a ringraziare per il gesto, ricordando di averlo chiesto, dunque facendolo passare come un regalo personale fatto a lui. Si può interpretarlo come un passo più risoluto nel programma di soffocamento economico e finanziario del regime di Teheran: la moneta iraniana si è svalutata fino al 60 per cento.

  

 

Tanto più che la misura così drastica di Trump (e Mike Pompeo, il quale ha dichiarato che il mondo non dovrebbe stupirsene, così significando che forse ne è sbalordito anche lui che l’ha fatta) coincide con un ormai stagionato benché ubriaco ritiro militare degli Stati Uniti dalla regione. I Guardiani della Rivoluzione non sono “una forza paramilitare”: sono il vero nerbo della forza militare iraniana, indipendente dal governo e alle dipendenze personali dal Grande Ayatollah Ali Khamenei. Rappresentano insomma un vero stato nello stato teocratico, e controllano poco meno della metà dell’economia nazionale, e una quota maggiore della corruzione. In Iraq, dove vige una mezzadria teorica fra infeudamento iraniano e “protezione” americana, il governo già sbrindellato somiglia a un suppliziato legato mani e piedi a due cavalli frustati in direzione opposta.

 

Il governo iraniano ha naturalmente dichiarato terrorista il comando militare americano, Centcom, e sostenitore del terrorismo il governo di Washington. Bisogna ricordare che questo copione era scritto da tempo ed è stato dilazionato. La sconfessione del nuclear deal e le sanzioni su petrolio e banche promettevano di congiungersi all’inserimento dei pasdaran nella Lista nera del Dipartimento di Stato fin dall’autunno del 2017. Mohammed Ali Jafari, che è dal 2007 il comandante in capo dei Guardiani della Rivoluzione, avvertì allora preventivamente che l’Iran avrebbe considerato gli Stati Uniti alla stregua dell’Isis in qualunque parte del mondo, e precisò: “Ritirino le loro basi a una distanza maggiore di 2 mila chilometri, che è la gittata dei nostri missili”. Dopo di allora la gittata dei missili è cresciuta, e i pasdaran possiedono un loro autonomo comando missilistico. Il ministro degli esteri Zarif dichiarò che in quella evenienza “daremo agli americani una risposta che non dimenticheranno mai”.

 

Il contesto di queste ore è dei più movimentati. Il primo ministro iracheno, Adel Abdul Mahdi, era appena rientrato da un incontro a Teheran con il suo omologo Rouhani, annunciando un rafforzamento dei rapporti reciproci. Nella dichiarazione finale si erano detti d’accordo su punti decisamente attuali: “Al Quds-Gerusalemme è la perenne capitale della Palestina, il Golan è parte inseparabile della Siria”. Ieri poi Rohani, dopo aver elencato i 114 passi avanti nucleari (civili) dell’Iran, ha detto agli Stati Uniti: “Voi siete al vertice del terrorismo mondiale”. E, più immaginosamente: “Se con le vostre sanzioni intendevate ridurre la potenza militare dell’Iran, sappiate – e lo sapete – che nell’ultimo anno abbiamo ottenuto armi e missili che non potete nemmeno immaginare”. Nello stesso giorno, lunedì, Erdogan incontrava Putin a Mosca (dopo aver preteso il riconteggio dei voti a Istanbul) per preparare la nuova azione militare contro i curdi a Manbij, oltre la frontiera siriana. “Dalle conseguenze potenzialmente devastanti”, così Pompeo. E ribadire il legame fra i due paesi perfezionando la consegna dei sistemi di difesa aerea S-400.

 

Erdogan, dice qualche sagace osservatore, sta forzando l’uscita della Turchia dalla Nato. All’altro capo, l’Arabia Saudita rafforza la sua presenza in Iraq, a Bassora e nella curda Erbil. Gli americani hanno nel Kurdistan iracheno le loro basi più sicure, compresa la diga di Mosul, dove hanno pressoché completamente sostituito gli italiani. I partiti curdi, servi riluttanti di due – o tre – padroni, non sanno bene che pesci pigliare di fronte alla stretta in corso, ma al tempo stesso intravvedono di nuovo l’occasione per lucrare sulle tensioni reciproche fra i potenti vicini e lontani. Per la prima volta da anni, grazie agli accordi con Baghdad, i dipendenti pubblici curdi hanno ricevuto lo stipendio pieno. Turchia e Iran sono ambedue alle prese con la crisi economica, finanziaria e sociale, monete deboli, disoccupazione altissima, l’Iran in più con i danni ingenti di una stagione pesante di inondazioni. Si è sottolineato che con la decisione sui pasdaran nella lista nera gli Stati Uniti hanno per la prima volta applicato la definizione di terrorista a una regolare forza di uno stato: passo molto vicino alla definizione diretta dell’Iran come stato canaglia. L’imbarazzo dell’Europa è comprensibile, ma imbarazzante.

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