Hossein Salami. Foto LaPresse

L'oltranzista Salami è il nuovo capo dei pasdaran 

Adriano Sofri

Il conto alla rovescia verso la guerra aperta tra Stati Uniti e Iran è partito

Continuo a misurare di quanto si accorcia la distanza che separa da una guerra aperta fra Stati Uniti e Iran. Tutti parlano della revoca degli esoneri dalle sanzioni decisa da Trump, per gli effetti sul prezzo del petrolio. Ma rivediamo la sequenza recente del confronto fra Stati Uniti e Iran. L’8 aprile il Dipartimento di stato dichiara i pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, terroristi. Qualche minuto dopo il Consiglio Supremo della sicurezza iraniano dichiara terroristi “come l’Isis” tutti i militari americani al comando del Centcom in Asia occidentale. Tre giorni fa il Leader Supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, sostituisce Ali Jafari, 61 anni, che era alla testa dei Guardiani della Rivoluzione dal 2007, con il suo vice, Hossein Salami, 59 anni. Ieri la revoca trumpiana delle esenzioni. Intanto in Israele Netanyahu ha vinto, per il rotto della cuffia, le elezioni.

    

Hossein Salami, vice di Jafari dal 2009, aveva una carriera non splendida di veterano della guerra Iran-Iraq, di comandante della forza aerea dei pasdaran, e di vice, distinta essenzialmente dall’oltranzismo verbale verso Israele: Netanyahu impari a nuotare nel Mediterraneo, ci sono 100 mila missili in Libano a portata di un bottone, lo stato sionista sarà cancellato dalla faccia della terra eccetera. La promozione di Salami mentre resta al suo posto il generale Qassem Soleimani, 62 anni, il vero uomo forte, capo di al Quds, la forza esterna delle Guardie della Rivoluzione, può significare un accordo migliore al loro vertice. Al Quds è nella lista nera americana del terrorismo già da dieci anni. L’Iran, che attraversa una crisi finanziaria ed economica pesante, è colpito da una serie di inondazioni disastrose e perfino da un’invasione di cavallette, anche questa divenuta casus belli nei confronti dell’Arabia Saudita, accusata di non averla voluta fermare al passaggio. Quanto hanno voglia di guerra Trump e i capi integralisti di Teheran, e quanto sono in grado di misurare i passi sulla sua soglia? I Guardiani della Rivoluzione sono, a differenza dell’esercito stanziale iraniano, cui compete il presidio del territorio, difensori e propagatori appunto della Rivoluzione, dentro e fuori del paese. Hanno 125 mila effettivi e una milizia ausiliaria molto più numerosa di Basiji, una polizia dei costumi squadrista, in breve. I Guardiani sono agli ordini diretti di Khamenei, hanno una propria intelligenza e controllano anche il programma missilistico e nucleare, sono padroni di una parte ingente della ricchezza del paese che include settori strategici nella tecnologia e nelle comunicazioni. E una parte ingentissima della corruzione. Una metà più o meno dell’Iran pubblico dichiarata terrorista, e incline a esserlo, sta di fronte a un Trump che sembra calcare le mosse che precedettero la guerra all’Iraq. Il quale Iraq è squartato tra l’amico sciita prossimo, cui la sua congerie di bande armate è comunque infeudata, e l’amico americano, che conserva le sue basi nel paese. Tutto attorno le guerre per delega infuriano, dallo Yemen alla Libia. Al mediocre Salami si riconosce un’inclinazione, almeno verbale, a passare dalle guerre per delega al confronto diretto. Si passerà dai fatti alle parole?