(foto LaPresse)

Zero Zero Billie

Stefano Pistolini

Perché il tema del nuovo James Bond firmato dalla stella della musica Eilish è un perfetto rilancio

Riuscirà Billie Eilish a togliere un po’ di polvere dallo smoking di James Bond? E’ quello che si augurano i produttori dell’eterna serie cinematografica, dal momento che le hanno affidato il tema musicale del nuovo capitolo della saga, “No Time To Die”. Reduce trionfale da un’edizione dei Grammys che l’ha consacrata (quattro vittorie e una nomination) voce-guida del decennio che si apre, la diciottenne losangelina e il team che oculatamente ne gestisce la carriera hanno deciso di accettare la sfida: non c’è dubbio che mettere la voce in un film di 007 è un vero passaggio fatale nel percorso di una star, accesso preferenziale alla circolazione planetaria e a una diffusione spazio-temporale senza rivali. Billie Eilish ci ha lavorato, come di consueto, in collaborazione col fratello musicista Finneas O’Connell, e i due se ne sono usciti con un pezzo (disponibile da ieri) delicato e di grande atmosfera, personale ma capace di connettersi con gli echi e i memento d’una tradizione di sessant’anni di Bond themes, ormai sottogenere assai qualificato del pop. 

 

 

Il suo “No Time To Die” si colloca decisamente nel solco tracciato dall’ultimo veramente memorabile pezzo scritto per l’agente segreto, quello “Skyfall” cantato da “Adele”, che a suo tempo è stato insignito di un Oscar praticamente per acclamazione (riconoscimento più tardi attribuito anche a “Writing’s on the Wall”, cantato da Sam Smith per “Spectre”). Ma Billie ci ha messo molto del suo, a cominciare dallo stile che non si distacca da quel “sospirato” che è diventato il suo marchio distintivo, limitando il tradizionale “crescendo” dei brani che l’hanno preceduto alle ultime battute della canzone. A questo punto potranno storcere il naso i fan di Billie che abbiano molto creduto a quella vocazione “indie” che la Eilish sembrava aver coltivato nel suo bizzarro entourage familiare e nel suo approccio introverso e stravagante con i media. Ma ci ha pensato lei stessa a sgomberare i dubbi sulla questione: “Per me è pazzesco aver avuto questa possibilità”, ha dichiarato. “Fare le musiche per una serie tanto leggendaria è un onore straordinario. I film di James Bond sono la cosa più cool che esista”: puro spirito losangelino, città dove tutti vivono aspettando che passi il treno giusto, e di sicuro non ne esiste uno migliore di quello guidato, per la quinta e ultima volta, da Daniel Craig nei panni dell’agente con licenza di uccidere.

 

La produzione più turbolenta

 

In fondo poi lo stile interpretativo di Craig e quello vocale di Billie sembrano fatti l’uno per l’altro, così laconici e ombrosi fino al limitare del dark. Il resto lo fa la sapiente orchestrazione di Hans Zimmer e quei due o tre accordi semi-dissonanti che sono diventati il passepartout delle musiche di Bond, con quell’atmosfera di tensione e di pericolo che riescono a trasmettere. In conclusione una mossa intelligente e un prodotto all’altezza delle aspettative, a coronamento della venticinquesima e più turbolenta produzione di Bond della storia della serie, col regista Danny Boyle che ha abbandonato il set ed è stato sostituito in corsa da Cary Fukunaga e con Phoebe Waller-Bridge (l’autrice di “Fleabag”) precipitosamente convocata a sistemare una sceneggiatura a dir poco caotica. Infine è arrivata Billie e in quattro minuti ha restituito all’annuncio del film tutto l’allure di cui andava in cerca: sarà anacronistico seguire ancora le gesta di un agente segreto armato di gadget che fanno molto modernariato, ma la nipotina ribelle che nei titoli di testa canta “non mi vedrai mai piangere / non c’è tempo per morire” proietta sul tutto il morbido splendore di un auspicato canto del cigno.

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