“Non si può aspettare il 4 maggio”. La filiera della moda è in fibrillazione

Fabiana Giacomotti

Gucci riapre il centro di prototipia ArtLab di Scandicci riapre, le piccole e medie aziende del Pratese protestano 

“Quanto potranno andare avanti senza di noi”. “Perché loro si e noi no”. “Io ho consegne di stoviglie e tessili in Medio Oriente che dopo il Ramadan non serviranno più a niente”. Il centro di prototipia di Gucci ArtLab di Scandicci riapre, sulla base delle disposizioni del governo dello scorso 10 aprile ed è come se avesse innescato la miccia: tutti vogliono, anzi esigono lo stesso trattamento. Infinite le ragioni, uno solo l’obiettivo: riaprire. Questa volta, lascia intendere il past president di Pratotrade, Roberto Rosati, con il supporto degli operai: lo smart working non è per tutti e, fermo restando che certe funzioni si possono ancora svolgere da casa e che i criteri di sicurezza verranno adottati per tutti, non si può proprio attendere il 4 maggio.

 

La filiera della moda, tessile e calzaturiero, che in Toscana ha uno dei suoi tre centri nevralgici nazionali, era in fibrillazione da settimane, mentre Rosati andava raccogliendo firme. E così, proprio nelle ore in cui l’ArtLab dai muri istoriati con figure e animali dell’immaginario del direttore creativo di Gucci Alessandro Michele accoglieva i primi addetti con il personale medico schierato, la protesta delle piccole e medie aziende del Pratese (oltre duecento, con fatturati che raggiungono i 100 milioni di euro e nomi storici come Filpucci) si è materializzata in una valanga di pec alla prefettura di Prato, che a sua volta ha fatto la voce grossa, facendo partire controlli a raffica.

 

Così, mentre dal gruppo Kering, casa madre di Gucci (+21 per cento di vendite online nel primo trimestre dell’anno, -19 per cento di vendite retail, fatturato complessivo a 3,2 miliardi di euro, -15,4 per cento) lasciano intendere che sì, per due settimane ci sono sufficienti scorte di magazzino per fare prototipia, monta la protesta ovunque, con accuse reciproche e anche un po’ bambinesche fra aziende che “se ci fossimo trovati nel Veneto di Zaia sarebbe andata meglio” e quelli che paragonano il prodotto tessile alla ricotta, “deperibile tale e quale”.

 

Dunque, riaprire, e anche subito, anzi “domattina alle 9”. In realtà, c’è anche un problema terzo, che non riguarda solo il tessile, e sono i capitolati di consegna, il cui mancato rispetto rischia di causare altre perdite: danni “difficilmente sopportabili dai conti aziendali già provati dall’emergenza”. Gli animi del distretto toscano sono talmente accesi da aver reso pubblica nei giorni scorsi anche la lettera che l’ad del gruppo Miroglio, Alberto Racca (la prima azienda che abbia convertito la produzione alle mascherine nei mesi scorsi) ha inviato alle aziende fornitrici chiedendo uno sconto sulle forniture già effettuate nell’ordine del 3-5 per cento. Ne è nata un’altra polemica, con scambi di accuse fra percentuali di sconto richiesto e appelli allo spirito di collaborazione. No, il coronavirus non ci sta rendendo più pacifici: anzi. 

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