L'isolamento dell'Italia in Europa è evidente. Il pericolo davanti a noi

Al direttore - Ciuladanos.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Nella sua intervista al Foglio Marco Di Maio esprime una considerazione di carattere storico/politico: se ogni giorno gridiamo che c’è il fascismo alle porte, quando dovesse esserci per davvero “le persone non se ne accorgerebbero’’. Ha ragione: sbaglia solo i tempi. Confonde il futuro con il presente e il passato. Il gridare a vanvera che il fascismo era alle porte accadde, appunto, nel passato (da Scelba al fanfascismo fino a Berlusconi); è adesso che la gente non si accorge che il pericolo esiste davvero.

Giuliano Cazzola

 


 

Al direttore - Entro fine agosto tutti gli stati dell’Unione europea dovranno comunicare alla neo presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, i candidati designati al ruolo di commissario. Von der Leyen ha chiesto due nomi, uno di uomo e uno di donna, così da poter formare un esecutivo in cui vi è una perfetta parità di genere. Il premier Conte ha assicurato che – in base a un accordo – all’Italia spetterà “un commissario di peso”, in particolare quello alla Concorrenza. L’esistenza di un simile accordo, tuttavia, è stata seccamente smentita dalla stessa von der Leyen. La scelta avverrà solo quando la lista dei nomi sarà completata: l’obiettivo è quello di assegnare i portafogli in base alle competenze degli aspiranti ministri europei. Del resto, la mancata conoscenza della materia (o la mancata condivisione dei valori europei) potrebbe portare alla bocciatura in sede di audizione al parlamento europeo. In passato è già successo, anche all’Italia con la candidatura di Rocco Buttiglione – nella Commissione Barroso –, rifiutata ben due volte (come responsabile della Giustizia e come vicepresidente con un altro portafoglio) per aver dichiarato “l’omosessualità è un peccato”: la definizione fu considerata dall’Aula illiberale e discriminatoria. Von der Leyen non vuole correre rischi e, per questo, per ora, non ha fatto nessuna promessa alle forze politiche in campo. E’ chiaro, tuttavia, che per chi come la Lega – a cui spetta il compito di proporre il candidato italiano –, ha votato contro di lei, la strada si presenta in salita. C’è, allora, da chiedersi quali siano i motivi sottostanti a questa scelta. Matteo Salvini ha spiegato che il programma della presidente è in contrasto con “l’interesse degli italiani”. A guardar bene, però, l’agenda tracciata include almeno cinque delle sfide cui deve far fronte il nostro paese nei prossimi anni. Andiamo per ordine. Primo, favorire l’occupazione giovanile. La presidente intende potenziare il programma Garanzia giovani lanciato cinque anni fa. L’Europa attraverso questo strumento mira a assicurare agli under 30 un percorso formativo o un tirocinio entro quattro mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione o dalla fine degli studi. A causa dell’inadeguatezza dei centri per l’impiego, il programma in Italia è stato un flop: solo una percentuale irrisoria degli iscritti è riuscita a inserirsi nel mondo del lavoro. Alla luce di ciò, il governo dovrebbe forse rivedere la propria azione concentrandosi maggiormente sull’efficientamento di questi centri. E, invece, le risorse disponibile sono state utilizzate per l’assunzione dei navigator che si prenderanno cura (ma quando? ma come?) unicamente dei percettori del reddito di cittadinanza che – va ricordato – non sono giovani visto che l’età media dei richiedenti è superiore ai quarant’anni. Von der Leyen propone, inoltre, di triplicare i fondi per il programma Erasmus e di migliorare l’accesso alle nuove competenze digitali, ambito in cui l’Italia è ancora significativamente indietro. Infine, l’Europa che ha in mente la neo presidente deve attuare un cambio culturale verso la formazione permanente, strumento essenziale del mondo del lavoro del futuro. Anche in questo campo, l’Italia è in ritardo: solo il 60 per cento delle aziende con più di dieci dipendenti dispone di questo percorso.

Secondo, incoraggiare il lavoro femminile. Von der Leyen vuole raggiungere la parità di responsabilità, di salario e di opportunità professionali. L’evidenza empirica dimostra, peraltro, che con più donne nel mercato del lavoro diminuisce la povertà infantile e aumenta il tasso di natalità. Non deve, quindi, stupire se l’Italia è tra gli ultimi per livello di tasso di occupazione femminile (14 punti percentuali sotto la media europea; al sud la differenza supera i 40 punti), ma anche per il numero delle nascite. Il declino è iniziato oramai dal 2008, ma lo scorso anno si è registrato un calo record pari al 4 per cento: meno di 450 mila nuovi nati, il minimo storico dall’unità d’Italia

Terzo, incentivare lo sviluppo delle piccole e medie imprese (Pmi). “Le Pmi sono il 99 per cento del business e hanno creato l’85 per cento dei nuovi posti di lavoro” ha spiegato la presidente. Sono imprese che innovano. Vanno, quindi, aiutate agevolando il loro accesso al mercato dei capitali. Per le Pmi italiane si tratta di un obiettivo importante visto che si trovano a operare nell’unica economia in cui è in corso una stretta creditizia. Peraltro, come spiegato da von der Leyen, queste imprese svolgono un ruolo fondamentale visto che partecipano al sistema di formazione duale, sistema prezioso che consente ai giovani di acquisire un know-how in linea con le richieste del mercato del lavoro. Tale strumento, invece, in Italia è stato depotenziato sia in termini di finanziamenti sia in termini di ore dedicate.

Quarto, completare l’Unione bancaria. La presidente si è impegnata a introdurre il terzo pilastro che ancora manca ossia l’assicurazione unica dei depositi per i risparmiatori sotto ai 100 mila euro. Un simile fondo sarebbe molto utile per un paese come il nostro che più di una volta ha utilizzato i soldi dei contribuenti per risolvere i problemi del settore bancario.

Infine, creare un’assicurazione europea contro la disoccupazione. Anche in questo caso, l’Italia sarebbe uno degli stati maggiormente avvantaggiati: il tasso di disoccupazione italiano si attesta intorno al 10 per cento, il terzo livello più elevato dopo quello della Grecia e della Spagna. Un’assicurazione europea consentirebbe, peraltro, di affrontare choc inaspettati e asimmetrici senza dover aumentare il già elevato stock di debito pubblico.

E’ chiaro che il programma di von der Leyen contiene anche punti che alla Lega non piacciono, a cominciare dal rispetto delle regole. La presidente ha spiegato che intende usare “tutta la flessibilità all’interno del quadro attuale”. La Lega, invece, vuole tornare a una situazione pre-Maastricht dove queste regole non erano ancora state scritte. La recente crisi ha dimostrato, però, che quando i paesi si comportano come se le regole non ci fossero – vedi il caso greco – il conto (davvero salato) viene pagato da tutti. Senza regole, infatti, si mette in moto all’interno dell’Europa un meccanismo di trasferimenti dai più virtuosi ai più indisciplinati. Un simile meccanismo è proprio quello che Salvini vorrebbe limitare (o eliminare) in Italia con l’attuazione dell’autonomia differenziata. Difficile, quindi, capire la logica del ministro dell’Interno che chiede – contemporaneamente – più disciplina fiscale in Italia e meno regole fiscali in Europa. Non va dimenticato, infatti, che il non rispetto delle regole da parte di alcuni stati europei è costato all’Italia circa 60 miliardi di euro. Al leader della Lega non deve essere del tutto chiaro che questi finanziamenti impattano sul debito pubblico (per circa 3 punti percentuali) su cui si pagano gli interessi. Altrimenti, non farebbe fatica a considerare il rispetto delle regole come un ulteriore punto del programma di von der Leyen a favore degli interessi degli italiani.

A conti fatti, l’isolamento dell’Italia in Europa voluto dalla Lega è davvero incomprensibile sia dal punto di vista tattico (sarà più difficile ottenere un commissario di “peso”) sia dal punto di vista strategico (sarà più difficile contare nei negoziati sulla futura governance dell’Unione). Non resta, quindi, che pensare che la scelta della Lega di votare contro von der Leyen miri semplicemente a creare un nuovo nemico: del resto, chi meglio di una donna, rigorosa e pure tedesca? C’è, però, da chiedersi se questo ennesimo conflitto sia davvero “nell’interesse degli italiani”.

Veronica De Romanis

 

I nazionalisti, ha detto un anno fa al Foglio François Bayrou, “amano molto spingere i loro popoli a detestare i vicini ma credo che bisogna avere dei problemi psichiatrici se non si riesce a comprendere che soltanto stando insieme, stando uniti, si può difendere un’Europa che deve farsi forte per contrastare la concorrenza e la destabilizzazione di tutte le altre potenze straniere”. Il populismo, fingendo di fare gli interessi del popolo, tende spesso in realtà a fare gli interessi di un solo capopopolo e prima gli italiani si renderanno conto che il populismo diventa inevitabilmente un’arma contro il popolo e prima il popolo tornerà a respirare aria fresca.

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