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Scienza e democrazia vanno a braccetto

Redazione

Alla legge si obbedisce, dalla scienza si impara. Che si può fare nei confronti dell’incompetenza? Parla Cassese

Professor Cassese, un consigliere regionale del Lazio, appartenente al M5s, ha dichiarato, il 7 agosto, che “la politica viene prima della scienza” e che “la scienza deve essere democratica”.

   

E’ quello che, l’11 agosto successivo, l’immunologo professor Alberto Mantovani ha chiamato il “vento di antiscientismo”. Il primato della politica che ignora la scienza, o la disprezza. Il Movimento di appartenenza ha smentito il proprio rappresentante, ma il governo, del quale il Movimento 5 stelle è parte integrante, ha preso una serie di misure equivoche e contraddittorie, segno anche esse del disprezzo per la scienza. 

 

Con una circolare ha consentito di ricorrere anche per il 2018 a una autocertificazione della vaccinazione (anche se le circolari debbono rispettare le leggi e la legge non consente ciò). Con il decreto detto milleproroghe ha spostato di un anno l’obbligo di presentare il certificato per iscriversi a scuola. Con un disegno di legge ha proposto l’introduzione di una specie nuova di obbligo detto flessibile, a seconda dei territori (come se non vi fossero in materia standard dell’Organizzazione mondiale della sanità).

 

Insomma, la politica si oppone alla scienza.

 

Politica che ignora quanto, invece, la politica, in passato, è andata a braccetto con la scienza. Le faccio solo tre esempi. Napoleone, quando invase l’Egitto nel 1798, portò con sé 156 studiosi, che fondarono l’egittologia e dettero importanti contributi allo studio delle religioni, della linguistica e della botanica. Nel 1831, quando la Marina reale inglese mandò la nave Beagle a ricostruire la mappa dell’America del Sud, dalle Falkland alle Galapagos, mise a bordo un giovane laureato di Cambridge, Charles Darwin, interessato alle scienze naturali, che raccolse dati empirici che lo condussero alla formulazione della teoria dell’evoluzione. Infine, quando gli inglesi conquistarono l’India impegnarono archeologi nello studio della storia indiana, antropologi nelle ricerche delle culture indiane, geologi nello studio dei nuovi territori, zoologi nell’esame della fauna. Potrebbe dire che quell’oscuro consigliere regionale non ha sangue corso, né spirito britannico…

Al di là della persona, c’è un atteggiamento più generale che preoccupa.

 

Che fa parte di una corrente sotterranea segnalata da un secolo. Johan Huizinga, nel libro famoso sulla “Crisi della civiltà”, del 1935, lamentava già il “tramonto del bisogno di verità” e l’assenza di “disciplina del pensiero”. E segnalava che “mentre il contenuto e l’applicazione della scienza crescono smisuratamente ogni giorno, il suo valore educativo non è più grande che un secolo fa, ed è più piccolo di quel che fosse nel Settecento” (J. Huizinga “La crisi della civiltà”, Milano, Pgreco, 2012, p. 49). Ha quindi ragione Mantovani, che, nell’intervista che ho citato parla della necessità di una “informazione molecolare”.

 

Il direttore del Foglio ha invitato l’8 agosto 2018 a ribellarsi contro gli incompetenti.

   

Giustissimo. Persone come Mantovani e Burioni l’hanno fatto. Occorre tener presente, sullo sfondo, due tratti di quello che chiamiamo populismo. Secondo questo, “scopo della democrazia è registrare desideri del popolo quali sono e non quello di contribuire a ciò che potrebbero essere o potrebbero desiderare di essere” (osservazione di Crawford B. Macpherson, in “La vita e i tempi della democrazia liberale”, Milano, Saggiatore, 1980). Inoltre, il populismo è “negazione del pluralismo” (come ha notato in un bel saggio G. P. Cella, “Il popolo fra invenzione e finzione”, in “Stato e mercato”, 2018, aprile, n. 112, p. 14).

 

Ma c’è onesta incompetenza.

 

Alla legge ci si conforma, si obbedisce. Dalla scienza si impara. Una volta, agli oracoli ci si adeguava. Che si può fare nei confronti dell’incompetenza? Solo rifiutarla. In questo chiacchiericcio antiscientifico, quel che è più grave è la fonte. Esso viene da persone che vorrebbero rimettere le decisioni al popolo. Ma, se si vuole rispettare il popolo, bisogna informarlo. Veda quel che si fa in tanti paesi. Prima di assumere una decisione, si prepara un libro bianco, informativo. Poi su di esso si raccolgono opinioni. Poi, si sottomette a discussione il tutto. Alla fine si prendono decisioni.