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L'èra dell'infantilizzazione dello spazio pubblico

Giuseppe Gracia

Invece di gestire i conflitti, il potere cede ai capricci, scrive l’autore di Das therapeutische Kalifat

Si potrebbe essere tentati di ridurre il pamphlet Das therapeutische Kalifat e il suo autore, il cattolico svizzero Giuseppe Gracia, a un saggio catacombale per minoranze reazionarie, roba per una nicchia di invasati. Facendolo, si cadrebbe però proprio nell’errore che questo libretto denuncia. Se non è dunque un’affinità ideologica a imporre di prendere sul serio le argomentazioni di Gracia, sarà almeno la logica a comandarlo. L’idea di un potere terapeutico che divide arbitrariamente il mondo in medici e pazienti, dunque in sani e malati, non è nuova, e si è affacciata in occidente in modo organico grazie all’opera dello psicanalista ungherese-americano Thomas Szasz, che negli anni Sessanta ha individuato e criticato lo stato terapeutico. Gracia ne racconta la forma contemporanea, che quel progetto ha portato a compimento. L’establishment politico e culturale, Gracia dice in un’intervista qui accanto e scrive in un testo più in basso, ha ormai affermato il suo ruolo curativo. Non dirime idee, non regola rapporti fra mondovisioni competitive – secondo lo schema liberale classico – ma si occupa di curare i malati che non si conformano alle norme ideologiche vigenti. Si tratta di una degenerazione dello schema liberale. I programmi politici non si testano sulla volontà popolare ma si somministrano come indiscutibili terapie: chi le accetta è un essere razionale, chi le rifiuta o fa domande una specie di anti-vaxx dell’agone politico. L’idea esplorata da Bloch del “tocco reale” che guarisce dalle scrofole trova una nuova vita nella scena tecnocratica. Secondo Gracia, Macron e Merkel sono le incarnazioni supreme di questo regime democratico che ha però fatto proseliti ovunque, anche nella chiesa cattolica.


 

Nell’Europa occidentale si è instaurato un “califfato terapeutico”. Il termine, coniato dal filosofo svizzero Michael Rüegg, indica una nuova forma di potere, non basato su un dio o su un regime statale, ma sulla terapia sociale. La terapia di un’élite, che recide le radici ebraico-cristiane dell’occidente e vuole liberarci dall’inciampo di identità religiose o nazionali obsolete. Ogni società ha bisogno di una buona élite che assuma un ruolo di leadership sfruttando i suoi speciali talenti. Tuttavia, quella di oggi spesso è un’élite che confonde il suo mandato politico con l’autorità pedagogico-morale sugli elettori. Lo stile di governo in Svezia o in Germania sono esempi in questo senso, ma ci sono anche politici in Svizzera che si comportano come terapeuti della coesione sociale. I messaggi tipici di questa politica sono: “Il mondo sta cambiando, ma possiamo governarlo”, “non abbiamo paura dei confini aperti della nostra solidarietà”, “non siamo sedotti dai populisti”, “combattiamo per un clima globale migliore, contro le fake news, il nazionalismo e l’odio”.

 

Questi messaggi non sono orientati al confronto con la realtà o a un dibattito fra idee competitive per risolvere problemi, ma all’educazione del popolo. Il politicamente corretto è una droga efficace. Nei dibattiti pubblici, assicura che il confronto fra le idee lasci il posto a un concorso di bellezza moralista: i partecipanti al discorso sono divisi fra persone buone – progressiste e dubbiose – e reazionarie. Questo trattamento è il perno dell’igiene della vita pubblica, dove impone, ad esempio, un linguaggio non violento, un linguaggio che non fa male a nessuno, il che significa che nessuno dice più nulla di autentico, perché potrebbe ferire qualcuno. Chi si oppone a questa regola non appare come una persona matura e tenace, ma come uno che corre su un tapis roulant emotivo. Questo si accompagna bene all’idea del safe space. Si tratta è un rifugio spirituale costruito per gli studenti, in cui ciascuno può rimanere nella propria armonia ideologica. La sporcizia potenzialmente discriminante di voci incontrollate scomparirà, così come sono scomparsi dai classici della letteratura parole sgradite, ad esempio “negro” ne “La capanna dello zio Tom” e “Huckleberry Finn”. E’ una purga che può colpire l’antico poeta romano Ovidio e il poeta contemporaneo berlinese Eugen Gomringer, che in una poesia ha osato paragonare la bellezza delle donne a quella dei fiori. Biancaneve non dovrebbe più essere baciata da un uomo, perché incoraggia gli stereotipi di genere.

 

E’ così che siamo arrivati all’infantilizzazione intellettuale dello spazio pubblico. Invece della maturità che sa gestire i conflitti, dominano l’ipersensibilità e il dogmatismo sentimentale. Invece della libertà di espressione, la codardia morale. Il filtraggio dei media, sensibili alla terapia, è particolarmente attivo per argomenti come l’immigrazione e l’islam. In Svezia i dati comparativi o le statistiche che potrebbero disturbare o dividere le persone non vengono nemmeno pubblicati, come ad esempio il tasso di criminalità fra i migranti. Nel capodanno del 2015 a Colonia, in Germania, circa ottocento donne sono state molestate, derubate e maltrattate da uomini provenienti dall’Africa e dal medio oriente. Ancora una volta, le autorità e i media hanno cercato di gestire i sentimenti potenzialmente xenofobi delle persone che più che cercare e raccontare la verità. Alexis de Tocqueville aveva previsto questo clima già all’inizio del diciannovesimo secolo, nel libro La democrazia in America: “Esiste un organo che tutela i cittadini, che è responsabile di garantire il benessere di tutti e veglia sulla loro prosperità. Questa tutela è assolutamente puntuale, lungimirante e mite”. E’ evidente il pericolo di una pedagogizzazione e di una svolta terapeutica della società democratica. Questa fa leva su una posizione scoraggiata o depressa, che non si aspetta che le persone possano maturare. Rischiamo di dimenticare che la cura del nostro vivere insieme, la libertà di pensiero e di parola, non sono compiti fondamentali dell’élite. Dimentichiamo che la dignità dell’individuo implica il suo diritto a essere preso per intero, per quanto disinformato, disinteressato o stupido uno possa essere. La stupidità non è un permesso per il paternalismo dello stato, e la libertà non è la prerogativa degli intelligenti.