Matteo Salvini al raduno della Lega a Pontida (foto LaPresse)

L'errore di Salvini? Aver sottovalutato “l'immane potenza del negativo”

L’ex ministro dell’Interno ha suscitato lui stesso una reazione, attivando una dialettica politica da lui non prevista

Che cosa è successo nell’estate 2019, tra l’8 agosto e il 10 settembre, mentre gli italiani erano in vacanza?

Molti eventi inediti, che hanno condotto alla formazione di un governo nuovo, il sessantaseiesimo della Repubblica. Salvini ha spinto M5s e Pd l’uno nelle braccia dell’altro, sottovalutando l’hegeliana ”immane potenza del negativo”.

Perché evocare Hegel? 

 

Perché l’ex ministro dell’Interno ha suscitato lui stesso una reazione, attivando una dialettica politica da lui non prevista. E questo per tre motivi. Primo: non ha considerato il ruolo nel nostro paese del timore del tiranno. L’8 agosto ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti del governo di cui lui era “magna pars” (fatto inedito). Il 9 agosto, parlando a Pescara, ha detto: “Chiedo agli italiani di darmi pieni poteri”. Il 18 agosto, parlando a Marina di Pietrasanta, ha detto: “Se si prendono la maggioranza dei palazzi, noi andremo pacificamente nelle piazze” e ha anche invitato il popolo a unirsi a lui contro i magistrati che iniziavano una procedura di accusa per aver tenuto gli immigrati a bordo della “Open Arms”. Secondo motivo: ha preso posizione contro le due alleanze su cui si è fondata la Repubblica, l’alleanza occidentale e quella europea. Terzo motivo: ha inaugurato una politica aggressiva e declamatoria ignota alla storia politica italiana, abituata a una certa mitezza in politica. Mettendosi su queste posizioni, ha provocato una reazione eguale e contraria, da lui non calcolata, portando un suo alleato e un suo nemico ad allearsi. Questa alleanza non era innaturale, se si considera che l’analisi richiesta da Di Maio a una apposita commissione nel 2018 aveva constatato che erano maggiori gli obiettivi comuni tra programma del M5s e programma del PD che quelli tra programma del M5s e programma della Lega.

Possibile che un uomo che è in politica faccia un errore di calcolo così grossolano? 

 

Possibile perché nella Lega erano tutti affascinati dal successo del leader e l’hanno lasciato fare: numerosi dirigenti della Lega hanno affermato che il voltafaccia di Salvini è stato fatto da lui senza alcuna preliminare decisione degli organi collegiali dei due partiti di cui Salvini è il leader. In conclusione, egli si è messo da solo nelle condizioni di farsi disarcionare, anzi ha provocato lui stesso, con il suo voltafaccia, la reazione degli altri due partiti.

Qui veniamo ai partiti, alla loro consistenza attuale, al leaderismo, alla verticalizzazione del potere. 

 

Si, l’assenza di una valutazione collettiva da parte della Lega si è accompagnata con una sottovalutazione del carattere post-ideologico dei partiti. Renzi si è dimostrato maestro in questo. Da lettore di Gramsci, e forse di libri di strategia militare, sa fare la guerra di movimento. Salvini ha fatto il voltafaccia, Renzi ha risposto con un bell’esempio di guerra manovrata, valendosi della libertà di movimento che è offerta dal declino delle ideologie e dei programmi dei partiti.

Il risultato? 

 

Un nuovo governo, su altre basi, ma con lo stesso presidente del Consiglio, un non-parlamentare, che si è presentato in Parlamento con un discorso ottimo nella parte iniziale, mediocre in quella successiva. Infatti, ha cominciato bene proponendo una nuova stagione riformatrice, una svolta profonda, continuando con istruzione e investimenti come strumento di sviluppo e crescita. Poi, ha fatto l’elenco della spesa, mettendo alla rinfusa un po’ di tutto, sempre senza indicare dove avrebbe trovato le risorse. Sono altri i punti di forza del governo.

Quali? 

 

Il legame con l’Europa, la presenza di ministri europeisti, lo scambio Gualtieri-Gentiloni (per la prima volta nella sessantennale storia europea un italiano occuperà quella poltrona della Commissione europea, anche se diminuita di alcune delle sue competenze), la circostanza che l’Italia appoggia l’Unione, l’Unione appoggia l’Italia, la prospettiva che i 14 parlamentari europei del M5s aderiscano al gruppo parlamentare europeo dei Verdi, anche il fatto che i due governi, quello europeo e quello italiano, nascano contemporaneamente. Poi, la struttura del governo, specialmente la scelta del nuovo ministro dell’Interno, scelta simbolica importantissima, per sottolineare che il ministero è più importante di un ministro sovreccitato che l’ha usato per 14 mesi e che il ministero andava risarcito per il danno di immagine prodotto dalla condotta del precedente ministro.

Rimane l’obiezione salviniana: le elezioni europee avevano dato un successo alla Lega, che andava riconosciuto sciogliendo il Parlamento perché non più rappresentativo dell’Italia emersa dalle elezioni al Parlamento europeo.

Argomento che ha facile presa, ma è fondato su un errore. Noi siamo in ordinamenti che coniugano più democrazie, tanto è vero che votiamo per i consigli comunali, per quelli regionali, per il Parlamento nazionale, per il Parlamento europeo. Non si tratta solo di diverse strutture a diversi livelli, ma di forme diverse della rappresentanza, che hanno tempi diversi. Infatti, le elezioni per i quattro livelli non si svolgono nello stesso giorno e neppure nello stesso arco di tempo. Tutto questo perché si vuole – moltiplicando le sedi della democrazia e distanziando le scelte elettorali – che ognuno dei poteri sia “impedito” (è il termine usato da Montesquieu nel 1748) dagli altri poteri. La democrazia americana ha un sistema ancora più complesso di cadenze persino negli organi di vertice. Ora, azzerare la rappresentanza, ritornando alle urne ogni volta che si manifestano diversità di orientamenti ad altri livelli della democrazia, comporta una perdita per la democrazia. Il sistema delle molte democrazie, ai diversi livelli, con diverse cadenze, arricchisce democrazia e pluralismo. Aggiungo altri due motivi. Perché per ogni livello di decisione si risponde a domande diverse, trattandosi di governi di livello e di dimensioni diverse. E perché la partecipazione elettorale ai diversi livelli è diversa: nel caso di specie, alle elezioni europee che hanno fatto nascere in Salvini l’idea di capitalizzare il successo, aveva partecipato un buon venti per cento di meno dell’elettorato che di solito partecipa alle elezioni politiche nazionali. Si può pensare che quel venti per cento si distribuisse nello stesso modo del restante 53 per cento che ha partecipato al voto europeo?

Dunque, può accadere che il partito che vince le elezioni europee svoltesi in Italia perda il suo posto al governo (italiano)?

Sì, perché la vittoria relativa alle elezioni europee si riferisce a una sola nazione su ventotto, come se si parlasse di un partito che vince le elezioni regionali in un comune, ma rimane in minoranza nel consiglio regionale, perché gli altri comuni sono stati vinti da altri partiti. Non bisogna inoltre dimenticare che viviamo in repubbliche parlamentari, per cui il Parlamento rimane in funzione finché è possibile che si formi in esso una maggioranza che sostiene un governo.

Ma il País , il 6 settembre, ha definito il M5s un “partito mutante”.

Lo è anche la Lega, che per bocca del suo leader ha preso posizioni molto diverse. Salvini il 18 agosto ha fatto appello alla piazza, il 26 agosto ha dichiarato: “Non chiamo le piazze”. Paradossalmente, questa situazione fluida sta dando luogo a un neo bipolarismo.

Restano i problemi di fondo.

Che sono quelli che preoccupano. Elenchiamoli. Si continua a cambiare la legge elettorale, oggetto di modificazioni costanti dal 1994, mentre dovrebbe essere una legge stabile, longeva, come scrivono gli studiosi di questa materia all’estero. Continuano a essere precari e transeunti i governi (abbiamo avuto un numero di governi, nel Dopoguerra, tre volte superiore a quello della Germania nello stesso periodo). Continua una politica contro (ora concentrata sull’opposizione a Salvini), mentre abbiamo bisogno di una politica per (cioè capace di formulare obiettivi di lungo periodo e di proporli all’elettorato). Infine, continuano a dominare politiche distributive, invece di politiche miranti ad arricchire il patrimonio del paese. Non ci si cura del capitale umano (scarsa scolarizzazione, pochi laureati, bassa conoscenza di una seconda lingua). Non si pensa al capitale fisico (opere pubbliche, infrastrutture) e a quello ambientale.