Un militare russo nel porto di Mariupol, in Ucraina (LaPresse)

Un foglio internazionale

I paesi emergenti, vittime collaterali della guerra in Ucraina

Debito, esplosione del costo delle materie prime, crisi alimentare. Molti stati rischiano il default, secondo l'economista e intellettuale francese Nicolas Baverez. Scrive Le Point (23/5)

I paesi emergenti avevano ampiamente beneficiato della globalizzazione, che ha permesso di ridurre di un terzo lo scarto con i paesi sviluppati, ma sono stati colpiti frontalmente dall’epidemia di Covid-19” scrive Nicolas Baverez, economista e intellettuale francese. “Al di là del numero elevato delle vittime, aggravato dal ritardo persistente nella vaccinazione della popolazione, la pandemia ha spezzato la dinamica dello sviluppo gravando sulle finanze degli stati il cui debito è aumentato di più del 10 per cento del pil, gettando quasi 100 milioni di persone nella grande povertà e bloccando l’educazione di centinaia di milioni di bambini. La guerra in Ucraina potrebbe, oggi, assestare un colpo fatale al decollo delle nazioni del sud, che invece speravano di approfittare pienamente della ripresa post Covid. 

 

La guerra in Ucraina ha come teatro militare l’Europa, ma le sue conseguenze economiche e sociali sono planetarie. La globalizzazione si frammenta, ma le interdipendenze tra i blocchi che strutturano il sistema internazionale restano potenti. Lo choc provocato dall’aggressione russa si estende così ai paesi emergenti attraverso tre canali. Prima di tutto, il conflitto crea un rallentamento sincronizzato dell’attività, che potrebbe sfociare in una recessione mondiale. Alla forte frenata della Cina, sotto l’effetto del confinamento dei 350 milioni di cittadini in nome della strategia “zero Covid” e del crack immobiliare, si aggiunge in effetti una configurazione di stagflazione negli Stati Uniti e in Europa, sotto la pressione della sospensione progressiva delle forniture di idrocarburi russi e dell’impennata dei prezzi dell’energia. 

 

Non sfuggono a tutto ciò i paesi emergenti, paesi la cui crescita dovrebbe limitarsi al 3,8 per cento nel 2022, mentre l’aumento medio dei prezzi dovrebbe stabilirsi all’8,7 per cento. In seguito, il ritorno dell’inflazione genera anche un rischio di crisi monetaria e finanziaria, alimentato dalla risalita dei tassi d’interesse e l’apprezzamento del dollaro. L’aumento dei prezzi sta andando fuori controllo nei paesi dove era già forte, come la Turchia (70 per cento) e l’Argentina (66 per cento), confrontati a una spirale di svalutazione della moneta e di uscita dei capitali. Tra l’altro, gli stati si trovano intrappolati sotto il fuoco incrociato dell’aumento del deficit budgetario, per tentare di limitare l’impennata dei prezzi del carburante e dell’alimentazione, dell’aumento del debito pubblico (67 per cento del Pib in media) e dell’aumento dei tassi impresso dalla Fed per contenere l’inflazione. In totale, due terzi dei 70 paesi a basso reddito potrebbero, a breve termine, ritrovarsi in una situazione di default.

 

Ma il pericolo più grande deriva dalla crisi energetica e alimentare, indissociabile dal rischio di carestia e di rivolte. La guerra, le sanzioni internazionali e l’interruzione di qualsiasi traffico nel mar Nero hanno ritirato dal mercato il 29 per cento delle esportazioni di grano, il 20 per cento di quelle di mais e di orzo, l’80 per cento di quelle di olio di girasole e il 35 per cento di quelle di grani di girasole. La sola Ucraina produceva ed esportava cibo per 400 milioni di persone. Per i paesi del sud, che dipendono dalle importazioni, l’effetto è devastante. I prezzi aumentano e l’alimentazione rappresenta tra il 30 e il 45 per cento della spesa delle famiglie. Le penurie e le carestie si moltiplicano, in particolare in Africa dove la malnutrizione cresce, passando da 280 a 350 milioni di persone colpite. Simultaneamente, esplodono i prezzi dei carburanti. Di conseguenza, dei violenti movimenti sociali sono inevitabili, alla stregua delle rivolte che hanno scosso il Perù in aprile e insanguinato lo Sri Lanka a maggio, fino a provocare le dimissioni del primo ministro. 

 

Nel mondo emergente, le situazioni restano molto diverse fra loro. Gli esportatori di energia, di materie prime o di derrate agricole in medio oriente, America latina o in Africa (Angola, Congo) beneficiano di un considerevole miglioramento dei termini dei loro scambi e di un forte aumento delle loro entrate fiscali. Nonostante il rallentamento della Cina, il sud-est asiatico, grazie alla sua integrazione, si sta imponendo come la prima regione al mondo per gli scambi commerciali. Al contrario, i paesi che accumulano dipendenza dalle importazioni di energia e alimentazione, strascichi dell’epidemia, siccità aggravate dal riscaldamento globale e insicurezza sono molto vulnerabili, come gli stati del Sahel, del Corno d’Africa, del Maghreb o il Madagascar (…).

L’abbandono dei paesi emergenti alla crisi umanitaria creata dalla guerra in Ucraina e al rischio di un nuovo decennio perduto per lo sviluppo, paragonabile agli anni Ottanta, sarebbe un errore morale ma anche politico e strategico”.

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