(Foto Pixabay)

L'assedio di Haftar alla Banca centrale di Tripoli

Alberto Brambilla

La presa dei pozzi in Fezzan è l'arma negoziale del generale per gestire i proventi del petrolio e redistribuirli

L'esercito del feldmaresciallo Khalifa Haftar, che da due settimane ha intrapreso una campagna militare dalla Cirenaica (est del paese) per conquistare importanti infrastrutture petrolifere nel Fezzan (sud), ha annunciato di avere preso il controllo del campo petrolifero di El Feel, il secondo più grande della Libia. “Non hanno chiesto la consegna pacifica degli impianti di El Feel – ha detto all’agenzia stampa Nova il capo delle guardie petrolifere che controllano gli impianti, Abu Bakr Sugai – Ci aspettiamo da un momento all’altro che possano arrivare qui gli uomini di Haftar per ingaggiare uno scontro a fuoco”.

 

L’impianto è operato dalla compagnia italiana Eni con la libica National oil corporation (Noc) e ha una produzione giornaliera stimata in circa 70 mila barili di petrolio. L’autoproclamato Esercito nazionale libico di Haftar è arrivato a sessanta chilometri dal sito e continua ad avanzare. La settimana scorsa una brigata passata dalla parte di Haftar ha preso controllo degli impianti di Sharara, il più grande campo petrolifero libico, con una produzione da 300 mila barili di petrolio al giorno, un terzo dell’intera produzione nazionale, gestito dalla Noc in collaborazione con la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor.

 

Se Haftar riuscisse a prendere il controllo dei due campi avrebbe a sua disposizione la maggiore parte della produzione di petrolio libica e il controllo di infrastrutture nevralgiche per l’economia nazionale spossata da una guerra civile lunga otto anni. È il livello massimo di conflitto interno tra Haftar e il premier Fayez al-Serraj sostenuto dalle Nazioni unite ma militarmente e diplomaticamente più debole. Tuttavia riuscire a sequestrare i pozzi non avrebbe un beneficio immediato per Haftar, un tempo uomo forte di Muammar Gheddafi, di cui vorrebbe essere emulo per capacità di controllo delle tribù e della popolazione.

 

Il generale libico Khalifa Haftar col premier Giuseppe Conte a Roma lo scorso dicembre (Foto LaPresse)


 

I conflitti militari attorno a infrastrutture vitali per l’economia potrebbero fermare la produzione e mettere in crisi un paese dipendente dagli idrocarburi per fare funzionare la pubblica amministrazione e redistribuire le risorse alla popolazione. Haftar non potrebbe espropriare le compagnie straniere che operano i campi e nel frattempo continuare a esportare greggio in quantità senza il loro appoggio. E nemmeno potrebbe vendere petrolio in clandestinità perché sarebbero quantità esigue; certo non tali da meritare lo sforzo di una campagna militare.

 

È più probabile che l’obiettivo di Haftar sia quello di usare la minaccia di conquista – o una concreta conquista dei pozzi con eventuale blocco della produzione (in caso estremo) – per avere maggiore potere negoziale così da ottenere voce in capitolo nella gestione della Banca centrale della Libia. La Banca centrale della Libia è un istituto nevralgico perché è dove vengono depositati i proventi derivanti dalla vendita del petrolio della Noc e dove viene erogato il denaro al governo per redistribuirlo. La Noc è fedele al governo legittimo di Serraj, con sede nella capitale Tripoli, ma ha buone relazioni con Haftar, a Bengasi, soprattutto da quando il generale aveva sequestrato campi petroliferi orientali nella regione sotto il suo totale controllo.

 

La Banca centrale libica è divisa in quella riconosciuta con sede a Tripoli – e che riceve i pagamenti della società petrolifera Noc – e in quella con sede a Al-Bayda sotto il controllo di Haftar. Le autorità della Libia orientale avevano licenziato il governatore della Banca di Al-Bayda, Sadiq al-Kabir, riconosciuto come interlocutore dal Fondo monetario internazionale. E nel 2016 le autorità orientali avevano proposto di girare i proventi derivanti dai pozzi in Cirenaica, sequestrati e tornati in produzione, alla compagnia nazionale Noc in modo da potere essere redistribuiti dalla Banca centrale di Tripoli nonostante non ne riconoscessero il governo.

 

La posizione di forza di Haftar nei confronti della Banca centrale nazionale deriva da molteplici fattori. La minaccia militare ha impedito di arrivare a colloqui risolutivi sull’unificazione dell’autorità monetaria, rimasta divisa. La Banca di Al-Bayda ha un debito verso la Banca di Tripoli per circa 40 miliardi di dinari (oltre 25 miliardi di euro) che non sta ripagando. Per sopperire ai problemi di liquidità degli istituti di credito nella regione orientale la Banca centrale parallela di Haftar ha detto di avere fatto stampare circa 10 miliardi di dinari in Russia.

 

A ogni conquista di importanti centri di produzione petrolifera corrisponde una speculare richiesta o minaccia di Haftar verso l’autorità monetaria centrale che custodisce i proventi del petrolio: con la conquista di importanti pozzi nel Fezzan potrà eventualmente avanzare pretese sulla Banca centrale di Tripoli, chiedendo la nomina di suoi uomini in consiglio o la scelta del governatore e avere così voce in capitolo nella gestione delle rendite petrolifere.

 

La Banca centrale ufficiale deve forse la sua sopravvivenza al fatto che si è eclissata da Tripoli – per un certo periodo il direttorio operava da Malta – e si è sottratta ai conflitti sul campo. Al momento si trova in una condizione di stallo perché non ha ancora chiuso il bilancio per il 2019 ed è possibile che sia sottoposta a una contesa. Il governo e la Banca centrale avevano imposto una tassa sulle transazioni finanziarie tra privati, ma il governo di Tripoli voleva usare il ricavato per lo sviluppo economico mentre la Banca per ripagare il debito verso controparti estere. Per questa ragione il governatore Al-Siddiq Al-Kabeer è accusato di avere legami con le milizie e di fare poco per alleviare il malessere della popolazione.

 

L’indicazione su come in futuro potrebbe avvenire la distribuzione delle rendite petrolifere l’ha data colui il quale le fornisce, il capo della Noc, Mustafa Sanalla. Sanalla è sotto scrutinio da alcuni osservatori per non essere riuscito a fare ripartire la produzione a Sharara e avere così permesso ad Haftar di ergersi a suo liberatore e poi di minacciare direttamente El Feel nel sud del paese. “Il sud ha bisogno di un governo effettivo – ha detto Sanalla a Chatham House a Londra il 29 gennaio – Qui la comunità internazionale può giocare un ruolo attivo e costruttivo. Costruire la capacità del governo libico di amministrare il sud con programmi sociali ed economici d’impatto. Le riforme politiche – ha aggiunto – non possono avere successo senza riforme economiche. I sussidi devono essere sostituiti con pagamenti diretti, e opportunità economiche che non riguardino il crimine organizzato”. Secondo Sanalla non dovranno più essere elargite prebende tramite assunzioni nel settore pubblico ma con “pagamenti diretti” anche per incentivare l’iniziativa privata. Qualcosa di non molto distante da un reddito di cittadinanza in stile libico.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.