Un mezzo dell'esercito di Khalifa Haftar a Sebha, nel sud della Libia (foto LaPresse)

Haftar marcia verso Tripoli, dove c'è un governo alleato dell'Italia

Luca Gambardella

In Libia le truppe del generale si fermano a un centinaio di chilometri dalla capitale. Lia Quartapelle (Pd) ci spiega il silenzio italiano e difende le politiche di Minniti

Ieri, poche ore prima che le truppe dell’esercito del generale e leader della Cirenaica Khalifa Haftar si avvicinassero a Tripoli, l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino Grimaldi, aveva incontrato il ministro dell’Interno libico, Fathi Bashagha. Nel corso della riunione il nostro diplomatico aveva ribadito la vicinanza di Roma al governo guidata da Fayez al Serraj, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale e dall’Italia. Poi, secondo quanto riferito dal quotidiano Ean Libya, Buccino Grimaldi ha espresso tutta la soddisfazione del governo italiano per la situazione di sicurezza a Tripoli. La notizia dell’incontro, con tanto di complimenti reciproci per il lavoro svolto, ha del paradossale e spiega bene le difficoltà del nostro paese nell’inquadrare gli sviluppi reali nel paese. Nel giro di poche ore, le milizie dell’est e dell’ovest del paese sono scivolate rapidamente verso la guerra aperta. L’esercito nazionale guidato dal generale Khalifa Haftar ha lanciato un’offensiva verso Tripoli e ha conquistato Gharyan, 100 chilometri a sud della capitale, e Sorman, 60 chilometri a ovest. Serraj ha ordinato all’aviazione di bombardare le posizioni occupate da Haftar. Nelle stesse ore, a Tripoli c’era anche Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, impegnato da mesi nel dialogo nazionale che dovrebbe portare a organizzare le elezioni, le prime del dopo Gheddafi. “Sono molto preoccupato”, ha scritto Guterres su Twitter, che da mesi tenta di organizzare in Libia una conferenza che nei piani dell’Onu doveva essere decisiva nei negoziati tra Serraj e Haftar. Oggi però il progetto di Guterres sfiora l’utopia. Mentre Haftar tenta con la sua avanzata di rafforzare la sua posizione e di convincere sempre più milizie a sostenerlo, il presidente al Serraj dice di volere difendere la Tripolitania da chi “minaccia la pace”.

 

Lo stato di guerra in Libia non sembra però preoccupare troppo il governo italiano, nonostante Roma abbia diversi interessi in gioco nel paese, dalle risorse energetiche all’immigrazione. “Non c’è ancora nessuna informativa dal governo”, denuncia la deputata del Pd e ricercatrice dell’Ispi, Lia Quartapelle, che da tempo segue da vicino il dossier libico. “Fino a un anno fa l’Italia era al centro di sforzi diplomatici per la stabilizzazione del paese – dice la deputata – ora invece, dopo 6 mesi trascorsi senza un nostro ambasciatore nel paese, quindi per colpa di noi italiani, si è creato un vuoto politico che altri stanno riempiendo”. L’Italia conta sempre meno, anche in uno scenario in cui dovrebbe essere protagonista, come in quello libico, aggiunge la Quartapelle, che accusa il governo di avere perso ogni credibilità a livello internazionale. “Abbiamo litigato con tutti: con la Francia, soprattutto, quella che sostiene Haftar. E lo abbiamo fatto su temi pretestuosi, come quello del Franco FCA. Una strategia perdente perché poi ti impedisce di confrontarti con questi paesi sui temi veri, come appunto la Libia. E così oggi nessuno ci riconosce più un ruolo di leadership a livello internazionale”.

 

Dal suo insediamento a oggi, il governo italiano sembra mantenere un equilibrio precario tra la propaganda e il contingentamento delle notizie su quanto avviene in Libia. Così, dalla corsa alla foto opportunity di Palermo del novembre 2018, quella che ha ritratto il premier Giuseppe Conte in una calorosa stretta di mano con Haftar e Serraj, si è passati al silenzio. “Il governo non riferisce in Parlamento su quanto succede in Libia dallo scorso settembre”, ricorda ancora Quartapelle. “E lo sa perché? Perché non hanno nulla da dire. La verità è che il nostro esecutivo sembra non avere ancora capito che quello che avviene in quel paese ha un impatto anche nel nostro”. Oggi, all’incontro di Parigi dei ministri dell’Interno dei paesi del G7, Matteo Salvini ha detto che è “preoccupato per quanto avviene in Libia e approfitto per chiedere a tutti una soluzione”. Ma secondo Quartapelle il problema è alla radice: “Al governo sembrano mancare le coordinate per comprendere la nostra collocazione in politica estera”, dice.

 

Al di là degli insuccessi diplomatici, c’è da chiedersi se abbia ancora senso oggi per l’Italia sostenere Serraj. “Ha senso non spingere per soluzioni affrettate”, secondo Quartapelle, convinta che l’unica strada che possa condurre alla stabilizzazione sia quella delle elezioni nazionali. “Le scorciatoie dell’uomo forte, come quella seguita dal presidente francese Emmanuel Macron con Haftar, non portano da nessuna parte”, secondo la deputata, che mette in guardia da “scelte strategiche che rischiano di trascinare verso situazioni che abbiamo già visto in passato”.

 

E se a livello di scelte politiche concrete il governo italiano sembra latitare, il tema dei migranti è invece da tempo l’argomento preferito dal ministro Salvini per veicolare la sua propaganda sovranista. Ora si va verso l’ennesima apertura di un caso diplomatico e giuridico con la nave dell’ong tedesca SeaEye, che fa rotta verso Lampedusa con a bordo 64 migranti salvati in acque internazionali (“Ho scritto al governo tedesco perché si faccia carico del problema”, ha subito commentato Salvini). Il tema dei respingimenti illegali in Libia, a causa dei maltrattamenti dei migranti appurati dalle Nazioni Unite, resta il nodo principale. Eppure Quartapelle difende la politica inaugurata dal governo Renzi, quella degli accordi con le milizie libiche conclusi dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti. “Ci sono delle differenze sostanziali tra l’obiettivo che si era posto Minniti e quello che invece fa Salvini adesso – precisa la capogruppo del Pd in Commissione Affari esteri – Noi abbiamo tentato di regolare flussi dei migranti seguendo però da vicino cosa accade in Libia. Il governo attuale invece resta in silenzio, e questo ci preoccupa molto. Noi cercavamo di non fare partire i migranti dalla Libia con degli aiuti diretti al paese. Oggi invece non c’è alcuna attenzione dell’esecutivo, nemmeno umana. Sembra quasi che abbiano chiuso il file libico. Ma sono convinta che la realtà finirà per smentire la politica fatta di annunci e propaganda di questo governo. Noi ci auguriamo di no, ma se per caso Haftar dovesse attaccare Tripoli destabilizzando del tutto il paese, le partenze dei migranti aumenteranno di nuovo”. 

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.