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Il Figlio

Eugenio e Michelangelo, e le loro madri. L'amore giovane sull'orlo della fine

Giuseppe Fantasia

Nessuno può mettersi in mezzo o giudicare la storia tra due che si appartengono e che si stanno cercando. "Polveri sottili" (Mondadori), il secondo romanzo di Gianluca Nativo

Quando la madre di Eugenio scopre che tra lui e il suo compagno Michelangelo le cose non vanno poi così bene, non ha alcun dubbio sulla necessità di una fine alla loro relazione. “Lascialo”, gli dice spietata, “non puoi mantenerlo a vita. Siete troppo diversi”. Niente di personale contro quel ragazzo, ma quello che vuole, come crede ogni madre, è solo il bene di suo figlio. I due sono entrambi napoletani, sono davvero lo yin e lo yang, ma non sono poi, in fin dei conti, gli opposti ad attrarsi? Sono il giorno e la notte, ma ci sono anche i tramonti e le albe a separarli come a tenerli insieme. 

  

Il primo si è laureato in medicina, il secondo vive invece alla giornata tra un pensiero alla sua tesi (senza mai una fine) in filologia, il sogno della scrittura e del suo mondo e mille altri pensieri che si susseguono senza un ordine preciso nella sua mente vorticosa. Uno è andato a lavorare a Londra, l’altro è rimasto a Napoli: il cielo grigio da una parte, il sole e il blu dall’altra, l’energia che c’è, ma fa fatica a farsi vedere e una joie de vivre senza uguali. Eugenio ha provato più volte ad uscire con altri, ma quei ragazzi tutti stereotipati si sono rivelati presto dei “casi umani” impossibili da gestire, tanto da trasformare quella pseudo atmosfera romantica in una repentina autorizzazione all’interruzione dei giochi. Con Michelangelo, invece, è stato diverso da subito, perché quel ragazzo che sin da piccolo aveva sofferto per i gesti di esclusione, è in realtà anche goffo.

 

Un difetto che Eugenio vede come un pregio. La prima volta che lo ha invitato a dormire a casa sua, Michelangelo gli ha rovesciato una brocca d’acqua in cucina, restando poi per più di dieci secondi fermo e terrorizzato al centro della stanza, ma che cosa importa? E’ stato anche quello ad interessarlo. “Era la sua totale impreparazione alla vita a renderlo così bello ai suoi occhi”, scrive Gianluca Nativo, classe 1990, in Polveri sottili (Mondadori), il suo secondo romanzo che arriva due anni dopo Il primo che passa. A colpire Eugenio è stata la totale mancanza di senso del tempo di quel ragazzo, a cui non interessa nulla di quello che gli accade intorno “tranne poi entusiasmarsi per cose inutili come la passione di Eugenio per il cioccolato alla menta”. Si conoscono nella Napoli universitaria, iniziano un percorso insieme dove sono l’unione e la forza, come le rispettive famiglie, diverse, ma accomunate da un’apertura totale verso questi due ragazzi che non hanno paura di nulla, scrive Nativo, splendidamente capaci di portare la loro leggerezza ovunque vadano. C’è la madre vedova e ricca che vive con sua figlia tra una bella casa con vista in un “groviglio di stanze che danno in altre stanze” e un’altra ancora più grande a Ischia, domestica (Katia) inclusa, perché senza di lei sarebbe perduta. 

 

C’è poi “la signora Ciccarelli”, una donna molto più pratica e semplice, che vive con un marito fissato per le paste alla domenica in una villetta periferica, creatrice instancabile di pasti luculliani di cui si vede solo l’inizio. La prima concede il massimo della libertà al figlio, ma mantiene una forma di contegno quando i ragazzi passano la notte insieme, chiusa in camera impegnata in partite insonni di burraco sul suo tablet. La seconda manifesta la più alta forma di progressismo dicendo ad alta voce “Arrivano i ragazzi”. Entrambe li amano ed è questo quello che conta. Nessuno però può mettersi in mezzo o giudicare la storia tra due che si appartengono e che si stanno cercando, come scrisse PierVittorio Tondelli in Camere Separate, citato nell’esergo, non si possono tenere distanti. Sono polveri sottili loro per primi, “si espandono per il continente come una minaccia divina e insondabile”. Poetico.

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