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Parla con me. La solitudine di Sala e Fontana

Fabio Massa

Il silenzio di Roma genera strane triangolazioni tra Milano e la Lombardia

Quando si è forzosamente soli, tocca fare delle scelte un po’ strane. Specialmente a Milano, sempre più la città della solitudine dei numeri primi. Così, tocca ricordare che in politica non sempre vale Seneca (“Chi pensa agli uomini della sua generazione, non vivrà per i posteri”) e che si costruisce con il materiale umano che c’è. Ad oggi, su Milano e in Lombardia, la situazione pare la seguente: un bel triangolo che una volta chiamavano larghe intese e che oggi è semplicemente la ricerca di qualcosa che funzioni in un paese imbambolato dallo spread e imballato non solo nei decimali. Il sindaco di Milano Beppe Sala parla con Attilio Fontana. Sono amici e vanno assai d’accordo. Il sindaco di Milano ha rivelato di parlare “nelle segrete stanze” (che poi sarebbe il suo ufficio in Piazza Scala, non chissà dove) con il sottosegretario pentastellato Stefano Buffagni e con il consigliere regionale pentastellato (luogotenente di Buffagni in Lombardia) Dario Violi. Ma anche Attilio Fontana parla eccome con Dario Violi, e il triangolo si chiude.

  

Come tutti i triangoli, c’è qualcosa di curioso e pure qualcosa di morboso e patologico, ovviamente. Ma tant’è, ci si incastra con chi ci sta. Del resto, Beppe Sala l’ha pure spiegato chiaro: “Mi dicono che è strano che io parli con il Movimento cinque stelle, ma non è così. Qui ci sono cose da fare per Milano”. Dunque, se alla porta leghista romana presidiata dai sottosegretari Giorgetti e Garavaglia non risponde nessuno, meglio parlare con qualcuno che interloquisce. E che magari dà risposte. Chi meglio di uno concreto con Stefano Buffagni e di uno dialogante come Dario Violi? Difficile individuare altro (cosa prevedibile per il M5s, molto meno per la Lega). Peraltro quelli che sulle scelte industriali del governo ci vivono – le grandi società di reti ed energia – l’hanno capito in tempi non sospetti. Chi erano gli unici – di fatto – esponenti chiave al Partners’ Day di Snam, l’altro giorno alle Officine del Volo? Guardacaso Buffagni, che ha ricevuto anche una sorta di “incoronazione” dal saggissimo Guzzetti. Torniamo a Sala. Di fronte a questa solitudine del numero primo (cittadino), che deve parlare con il M5s, dovrebbe interrogarsi il Pd milanese, che ancora una volta – ed è un peccato grande come una casa – alla contesa sulla segreteria nazionale sceglie di non candidare nessuno. Eppure avrebbe potuto esprimere qualche figura di qualità, come Lia Quartapelle. Ma niente, ogni candidatura è lontana e risponde a logiche lontane. Si piangerà fra due anni, quando in campagna elettorale di sensibilità non ce ne sarà e Salvini farà marciare invece i suoi alla conquista dell’ultima roccaforte. La vista prospettica non sembra la dote migliore dei Dem di oggi e pure di ieri e l’altro ieri. Un Pd milanese senza rappresentanza romana somiglia tanto all’insipienza conclamata di Maurizio Martina, che si è ricandidato nell’ennesima operazioncina di Palazzo che Milano non solo non ha capito, ma di cui non si cura. E così il sindaco Sala si trova a passare da un interlocutore (Martina) a un altro (Buffagni). La sorpresa è che il secondo non è peggio del primo, malgrado il diverso partito.

Il terzo vertice del triangolo è Attilio Fontana, il governatore della Regione. Amministratore serio, con le partite da giocare ben chiare. Tanto per non facilitargli la vita alcuni capoccioni leghisti di stanza a Roma (non Salvini, beninteso, ma chi gestisce – o non gestisce – nomine e potere) hanno pensato bene di trombare Beppe Bonomi alla guida di Ferrovie dello Stato. Ora hanno a che fare con Battisti, nominato direttamente da Toninelli, che logicamente può avere altre priorità. I pendolari ringraziano, mentre lui cerca di lavorare (ancora una volta) con i Cinque stelle che hanno fatto la nomina. Gli tocca. Sull’autonomia, battaglia antica che purtroppo rischia anche di diventare vecchia, Fontana sta premendo come un pazzo. Salvini l’ha rassicurato, dal palco di IDN a Milano, dicendo che arriverà entro l’autunno. Il ministro Erika Stefani ha detto che se i pentestellati non si mettono in mezzo ce la si potrebbe fare. E di certo il duo Buffagni & Violi non porranno bastoni tra le ruote, considerato che il referendum dello scorso anno lo avevano promosso loro (e poi se l’era pappato mediaticamente Roberto Maroni, partito oggi in barca per una transoceanica).

  

Ma sull’autonomia la Lega a Roma ci sta davvero lavorando? Oppure l’ha sacrificata al sovranismo? Salvini ci crede. Ma gli altri stanno operando in questo senso? Partita complicata. Così, ancora una volta a Fontana tocca il triangolo. Luca Zaia, invece, pare si stia incazzando, perché dalle sue parti gli manca il terzo strambo lato che a Milano sono i pentastellati riformisti. Di esempi triangolari ce ne sarebbero altri: le Olimpiadi, le grandi opere, pure la questione ambientale. La verità è che qui si parla, tra numeri primi, per evitare la solitudine. Non necessariamente è un male.

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