Il candidato alla segreteria della Cgil Maurizio Landini (Foto LaPresse)

Landini chi?

Daniele Bonecchi

Nella città del riformismo sindacale il candidato di Camusso non piace mica tanto

Non è uno scontro da poco quello che si sta consumando nel maggior sindacato italiano, la Cgil. Perché dentro le trincee che i capi delle categorie e delle Camere del lavoro stanno scavando anche in Lombardia, passa una cultura della rappresentanza diversa. E forse, sulle sorti della Cgil e del suo gruppo dirigente, si gioca anche il futuro della sinistra riformista (sempre che abbia ancora un futuro). L’immagine plastica delle divisioni – che attraversano il maggior sindacato italiano dopo la proposta avanzata (non troppo a sorpresa) da Susanna Camusso, col nome di Maurizio Landini – la offrono i due dirigenti più in vista: Massimo Bonini, segretario della Camera del lavoro di Milano che non è disposto a scegliere Landini “prendere o lasciare”, ed Elena Lattuada, segretaria regionale della Cgil, che invece è favorevole.

 

Non è solo un derby sulle persone. C’è una differenza sostanziale tra la posizione espressa da Landini e quella sostenuta da Vincenzo Colla, possibile competitor. Colla, segretario confederale della Cgil, è nato anche lui nella Fiom ed è cresciuto nel sindacato dell’Emilia Romagna, prima di approdare in segreteria accanto a Camusso. In Lombardia, terra del riformismo sindacale, le truppe della Camusso ad oggi hanno avuto la peggio. Dalle parti della Camera del Lavoro di Milano, saldamente nelle mani del riformista Massimo Bonini – ma dove è nata sindacalmente proprio Susanna Camusso, prima di fare il gran balzo a Roma – Landini non ha un gran seguito. Ma il sindacato è soprattutto mediazione, a volte difficile, senza cedere però sui fondamentali.

 

D’altra parte la Cgil a Milano non ha mai sposato il massimalismo, perché ha sempre dovuto e voluto affrontare l’innovazione e i cambiamenti del mondo economico. Bonini ha scelto di portare il confronto sui grandi temi del lavoro anche nelle università, ha affrontato con determinazione l’organizzazione del lavoro, dettata dall’hi-tech e dalla frontiera dell’algoritmo, imponendo soluzioni vicine agli interessi delle categorie più fragili, come i rider, senza rinunciare al potenziale innovativo e produttivo. E anche le sorti della rappresentanza, in una stagione in cui è sotto scacco, perché considerata dall’antipolitica una lobby pericolosa e perdente, possono trovare nella Cgil milanese un rilancio. Oltre a quella di Milano, col gruppo riformista sono schierate le Camere del lavoro di Bergamo, Pavia, Cremona e le categorie dei pensionati (Spi), degli autoferrotranvieri (Filt), della scuola (Flc), degli alimentaristi (Flai), mentre il pubblico impiego (Pa) e il commercio (Filcams) sono molto divisi.

 

La consegna, nella trincea che sostiene Landini, è invece: bocche cucite. Il segretario regionale della Lombardia, Elena Lattuada – che guida la Cgil regionale senza spinte massimaliste e nel segno del dialogo anche con la Regione, da oltre vent’anni di centrodestra – è molto legata a Susanna Camusso e nessuno dubita sul fatto che sceglierà Landini. Ad oggi, l’unica candidatura ufficiale è quella dell’ex segretario della Fiom “che, non dimentichiamolo, ha siglato l’accordo per il salvataggio dell’Ilva e un contratto dei metalmeccanici che ha fatto storia”, spiegano dalla Fiom. “E poi il documento unitario voluto dalla segreteria nazionale, scritto di pugno dalla Camusso, non ha trovato opposizioni, così come la condanna del Jobs Acts e della legge Fornero”. Dunque sarebbe una questione di nomi, sostiene chi è schierato con Landini, perché sul futuro della Cgil e sulle sue strategie politico sindacali non ci sarebbero differenze marcate.

 

Il documento congressuale approvato dal direttivo, però “è stato volutamente annacquato per trovare una candidatura unitaria, poi superata dalla forzatura di Susanna Camusso che, personalmente e in totale solitudine, ha sondato il sindacato a livello territoriale per formulare poi la proposta secca di Landini”, sostiene chi c’era. Le differenze ci sono e sono marcate, perché la componente riformista che sostiene Colla è fortemente “contrattualista”, favorevole anche a una ricomposizione unitaria strategica con Cisl e Uil, e vede di buon occhio una partecipazione alle decisioni dell’impresa. Landini si è battuto per sostenere una linea “referendaria” tra i lavoratori e conflittuale con l’impresa.

 

E poi c’è il rapporto con la politica. Per i riformisti non va abbandonato il dialogo con la sinistra, per Landini i punti di riferimento sono altri: sono in molti a ricordare che a scrivere il “decreto dignità” del ministro Di Maio sarebbero stati gli uomini della Fiom. E qui, in Lombardia, c’è qualcuno a cui è andato di traverso l’invito al ministro Paolo Savona alla festa della Cgil di Lecce: un affronto aprire le porte al ministro meno amato dal Quirinale, ideologo del Piano B per l’Italexit. Insomma simpatie malamente celate per il vicepremier Luigi Di Maio e il presidente della Camera Roberto Fico. La vera partita inizia sabato prossimo, col direttivo che a Roma dovrebbe avviare le procedure per la scelta del segretario. La Lombardia ha già detto la sua.