Beatrice Trussardi. Foto Imagoeconomica

Il mecenatismo “nomade” di Fondazione Trussardi, l'arte in città

Paola Bulbarelli

Nata nel 1996 di fianco alla Scala, nel 2003 ha lasciato casa per aprirsi al territorio. Il racconto di Beatrice Trussardi

Si chiamava Short Cut (Scorciatoia): un’automobile bianca che traina una roulotte. Trasformata in un’installazione che sembrava spuntasse dal sottosuolo, al centro dell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele. Quel viaggio immaginario, metafora del turismo globale, strabiliante e un po’ disturbante, era firmato da Michael Elmgreen & Ingar Dragset e lo aveva scelto Beatrice Trussardi, imprenditrice culturale e presidente della Fondazione Nicola Trussardi. Voleva cambiare tutto, capovolgere completamente quel che era stato fino a quel momento. “La fondazione è nata nel 1996, ideata da mio padre, perché era stato inaugurato lo spazio multifunzionale di Marino alla Scala, concepito come un luogo per iniziative private ma anche per altre aperte a tutti: un approccio oggi normale, ma all’epoca era innovativo”.

  

All’inizio venivano realizzate mostre all’interno del palazzo: molto eclettiche, rappresentavano ambiti e discipline culturali assai variegati, dal teatro alla pittura alla fotografia. “Poi quando presi in mano io la fondazione, nel 1999, continuai questa vocazione nel palazzo, ma con mostre che prima non c’erano come quella di Philipp Tracy, il cappellaio, o quella di Michelle Lopez e diverse altre. Però sentivo questa urgenza di comunicare a un pubblico più vasto, così ho pensato a come fare ‘arte pubblica’ ma non in uno spazio privato, perché il limite era quello. Lo capivamo dal numero delle affluenze, e  immaginando un  altro percorso”. Una strategia e una programmazione che dal 2003 mutano direzione, scegliendo per la Fondazione la strada precaria di non avere una sede. “Siamo una fondazione nomade. E’ una scelta presa nel 2003, sono ormai 15 anni che agiamo in questo modo perché l’obiettivo è di portare l’arte verso un pubblico sempre più vasto, prenderlo di sorpresa, in modo inaspettato perché spesso e volentieri il pubblico che già ci segue attende con curiosità il prossimo luogo dove faremo l’intervento. Ma anche chi non ci conosceva, proprio perché capitiamo in una zona che era abituato a vedere e a fruire in un certo modo, improvvisamente se la trova con un intervento artistico che ne cambia i connotati e che attira la sua attenzione. Obiettivo è colpire anche chi non è appassionato o si occupa di arte. Siamo senz’altro più liberi ed è stimolante, si deve tener conto che il contenitore è sempre diverso ma anche del fatto che gli spazi non sono nostri e tra permessi e trafile burocratiche è tutto più complicato. Abbiamo un direttore artistico da 15 anni con il quale ho immaginato questo nuovo percorso che è Massimiliano Gioni”.

 

Le operazioni nella città, i luoghi insoliti, e la Galleria è l’esempio più eclatante, sono posti completamente inaspettati, di passaggio. Il Parco Sempione è diventato il palcoscenico di Pawel Althamer  che ha lanciato la sua sfida alla scultura classica:  un autoritratto ingigantito dell’artista, un pallone aerostatico lungo oltre venti metri. Nella cornice di piazza XXIV Maggio, con i suoi riferimenti alle battaglie napoleoniche e agli eventi delle guerre mondiali, Maurizio Cattelan inscena l’epilogo di una fiaba con la scultura “Untitled” (2004)  formata da tre manichini in dimensioni reali appesi all’albero più antico di Milano. L’ultima avventura, nel cuore del parco delle sculture di CityLife, “Sacrilege”, una delle più famose installazioni dell’artista inglese Jeremy Deller: un gigantesco gonfiabile che ricostruisce in scala 1:1 il sito archeologico di Stonehenge, luogo fondante dell’identità e della cultura britannica, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1986. “Siamo dei veri mecenati dato che facciamo interventi nella città, realizzando spesso progetti di artisti che avevano le opere nella loro testa ma non riuscivano a concretizzarle: noi gliele produciamo e poi le opere rimangono agli artisti. Non le commissioniamo per tenerle in una nostra collezione ma le realizziamo per poterle esporre, farle vedere alla collettività e poi restano a loro”. Il fuori non basta, e allora si comincia a sfruttare il dentro dei palazzi prestigiosi. “Nel 2015 abbiamo iniziato con mostre importanti, retrospettive con molti artisti in luoghi deputati come Palazzo Reale e la Triennale, facendoci portavoce di argomenti importanti a livello globale che contraddistinguono la società oggi. Il primo sulla donna attraverso la figura della madre e la disparità di genere (“La Grande Madre”) e il secondo sulla migrazione (“La Terra Inquieta”)”.

  

Quella dell’arte è una passione. Ma non è la sola. Da nove anni Beatrice Trussardi è presidente degli Amici di Aspen dove si analizzano questioni di rilevanza economica, culturale e sociale alla base dello sviluppo. “Mi dedico a argomenti che sono urgenze nella nostra epoca, ero stata stimolata dalle frequentazioni avute dal 2005 al World Economic Forum, quando ero stata selezionata tra gli Young Global Leader  per pensare a come tentare di risolvere determinate problematiche da lì a vent’anni, sono stata abituata a occuparmi delle urgenze che viviamo adesso”.  E  dal 2010, sempre per il World Economic Forum si è occupata, quale founding curator, dell’hub di Milano dell’Advisory Board Global Shapers. E la moda? “ In questo momento non mi interessa. Parlavamo del nomadismo e dal farsi stimolare da cose nuove: in realtà fa parte della mia indole quella di volere sperimentare”.

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