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Dario Violi, il grillino della Caritas o la mutazione genetica del M5s

Fabio Massa

Il grillismo, esposto alle radiazioni di Milano e della Lombardia, ha ormai prodotto una nuova generazione di pentastellati

Sarà davvero una mutazione genetica? Si vedrà. Ma in Regione Lombardia, se lo è, ormai è completa. Perché il grillismo, esposto alle radiazioni di Milano e della Lombardia, permeate del più puro spirito riformista, ha ormai prodotto una nuova generazione di pentastellati. Pentastellati riformisti, si potrebbero chiamare, se non temessimo di offendere e i riformisti e i grillini duri e puri. Sicuramente la candidatura di Dario Violi a presidente della Regione Lombardia ha un senso assai profondo: è la cartina di tornasole di questa mutazione. Perché la scelta di Violi coincide con la fine della dicotomia, marcatissima i primi tempi, più morbida nel passato recente, tra i talebani e i moderati dei cinque stelle. Fine della contesa, game over, per abbandono del campo da parte dei talebani. C’è chi se ne va a Roma, c’è chi si ritira. Non ti curar di loro. Del resto, l’antipasto era stata la scelta dell’avvocato “moderato” (e passabilmente insipido, no ha lasciato traccia) Gianluca Corrado come sfidante di Sala e Parisi a Milano. Il primo piatto, l’ascesa di Stefano Buffagni, consigliere regionale, nell’olimpo di Di Maio, come persona che parla a imprese e stakeholder. E che viene ascoltato. Il secondo piatto, la vittoria di Violi su De Rosa alle primarie online per la scelta del candidato governatore.

 

Ma chi è Violi? La biografia di questo ragazzone che viene dall’ultimo paese della provincia di Bergamo è interessante. Classe 1985, sposato con una manager, ha due figli piccoli. Gregorio di tre anni e mezzo e Anna di soli sei mesi. Viene da Costa Volpino e tifa Atalanta: “Sono tifoso per davvero, non come Gori. Io mi facevo anche le trasferte, prima di diventare arbitro e non poter più seguire la Dea fuori casa. Del resto quando nasci a contatto con la provincia di Brescia, ami per forza l’Atalanta”, scherza. Di formazione cattolica, è uomo della Caritas. A 14 anni parte per Mostar, per fare volontariato. Frequenta il liceo socio-psico-pedagogico. Poi si laurea a Pavia in Cooperazione Internazionale. L’ultimo anno di studi lo fa a Cardiff. Neppure il tempo di tornare che è già la volta di partire di nuovo, sempre con la Caritas, per andare a Buenos Aires, in Argentina. “Abbiamo aperto un ufficio per l’impiego nel quartiere di Boca. Un’esperienza bellissima, ma anche tremenda. Vedi la disperazione vera”, dice. Poi torna in Italia, giusto in tempo per essere fulminato sulla via di Damasco dal verbo di Beppe Grillo, nel 2011, appena rientrato dall’Argentina. Di Maio, invece, lo conosce due anni dopo, dopo 6 mesi dall’elezione in Consiglio regionale. “Con lui abbiamo sempre parlato di imprese. Siamo stati portatori di idee, Stefano Buffagni e io, e portatori d’acqua. Di Maio? Ha fatto la cosa più intelligente: la spugna”. Del resto, l’aspirante premier napoletano ha sempre tenuto in considerazione Bergamo. “E’ venuto a tutte le feste, sempre”. L’amicizia con Buffagni nasce in Consiglio regionale: “Lui è un vulcano, io sono più riflessivo. Ma abbiamo una visione comune sul mondo economico. Noi parliamo con le imprese, vogliamo il cambiamento. Vogliamo migliorare il sistema. Ma con calma, gradualmente”. Piano piano, lento lento. Come la cottura dei suoi piatti preferiti. Perché l’hobby di Violi è la cucina. Adora i piatti di carne, i brasati. E poi la pasta ripiena. Si mette là, a casa, “a cucinare in pace”. Certo, è difficile conciliare le cotture lente e la campagna elettorale. Anzi, impossibile: gira come un pazzo in tutta la Lombardia. L’obiettivo dichiarato è quello di vincere (e come potrebbe essere diversamente?). Quello non dichiarato, e dunque realistico, è di arrivare sopra il Partito democratico, quindi come prima forza di opposizione, se i sondaggi che danno vincente Fontana saranno confermati dalle urne (tutto da vedere). Il programma è ambizioso, e stringatissimo, nell’enunciazione delle priorità: “Abolizione della delibera sui malati cronici e taglio dei vitalizi e degli stipendi dei consiglieri regionali. Sono ancora troppo alti”, dice. Perché va bene essere riformisti, ma il marchio Cinque stelle comunque ci deve essere.

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