Giorgio Gori (Foto LaPresse)

Programmi fiscali. Fontana e Gori analizzati

Mariarosaria Marchesano

Tasse, attrattività pro business, autonomia, differenziata e welfare  

Per tutto il 2017, in chiave post Brexit, ma se ne parlava anche prima, s’è sentito parlare della creazione di un distretto finanziario a Milano e dell’attrazione di investimenti esteri in Lombardia. Idee che hanno trovato sostegno politico trasversale, come ha dimostrato anche l’asse Maroni-Sala sulla battaglia (persa, per ora) per l’agenzia Ema. E lo stesso tipo di convergenza ha sostenuto per un bel pezzo l’iter parlamentare della proposta di legge speciale per Milano (ora ferma, però, in commissione Finanze) che di questo disegno doveva rappresentare la leva fiscale per convincere nuove imprese (soprattutto straniere) a insediarsi nell’area metropolitana. Cosa c’è di tutto questo, o meglio, quali sono le proposte in materia economica e fiscale per l’area lombarda nei programmi dei due candidati alla presidenza della Regione, Attilio Fontana (centrodestra) e Giorgio Gori (centrosinistra)? Convergenza finita.

  

Le idee sono, ovviamente, diverse, ma con qualche sorpresa dal punto di vista del metodo, come osserva anche un po’ divertito Andrea Tavecchio, commercialista milanese (studio Tavecchio Caldara e Associati) e uno dei soci fondatori del think tank Europa 21 Secolo (che il 12 febbraio organizza un dibattito alla libreria Mondadori di Milano sul libro di Sergio Fabbrini: “Sdoppiamento. Una nuova prospettiva per l’Europa”, con la partecipazione di Marta Dassù, Ferruccio De Bortoli e Tommaso Nannicini). Da un primo esame dei programmi, “sembra quasi che il candidato del centrodestra abbia fatto il lavoro di chi sta all’opposizione e Gori invece di chi governa da 20 anni la Regione”, dice Tavecchio. Uno scambio involontario di ruoli? “Il fatto è che, dai materiali disponibili, Fontana fa promesse in chiave pop: meno tasse regionali, asili nido gratis, abbassamento o azzeramento dei ticket sanitari, tariffe scontate per i pendolari, incentivi e agevolazioni per la ricerca e lo sviluppo, internet veloce per tutti. Ma non sente il bisogno di spiegare esattamente in che modo coprirà questa maggiore spesa pubblica né perché non lo abbia già fatto Maroni, che ha governato; ma quello che sorprende di più è come non ci sia traccia – per adesso – di parole come federalismo fiscale. E Gori? “Ha un programma molto dettagliato, analitico, da secchione, di chi sta già governando da anni. E visto anche il suo Sì al referendum per l’autonomia della Lombardia, parla in modo esplicito di federalismo anche se ci tiene a definirlo differenziato e solidale”, continua Tavecchio. In effetti, se si ha la pazienza di arrivare a pagina 165 del programma del candidato del centrosinistra, si trovano i calcoli del residuo fiscale in Lombardia (differenza tra entrate e uscite) che arriva a un totale di 52 miliardi che diventano 39 miliardi al netto degli interessi sul debito pubblico. Gori sembra non avere timore a tracciare una linea di continuità con Maroni, così promette di “proseguire il confronto avviato dalla Regione con il governo per l’attribuzione di ulteriori funzioni e competenze, da finanziarsi attraverso il riconoscimento di una quota dell’Irpef raccolta sul territorio”. E qui arriva al sodo: “L’autonomia differenziata comporterebbe un significativo salto nel bilancio regionale con un aumento della spesa fino al 20% (più 5,2 miliardi equivalenti al 15% dell’Irpef raccolta in Lombardia)”.

   

Ecco, dunque, trovate le risorse per finanziare interventi come il raddoppio degli investimenti in innovazione, l’abbattimento dell’Irap per i primi tre anni di vita delle start up o per attrarre talenti e personale qualificato dall’estero sul modello tedesco o, ancora, per dar vita a un “Istituto per il domani” sull’esempio dell’Institute for the Future di Palo Alto. Bisogna dire, per contro, che un passaggio sulla gestione finanziaria dell’ente regionale si trova anche tra le linee guida del candidato del centro destra, quando afferma di voler dar voce ai milioni di lombardi che hanno scelto l’autonomia “pretendendo più risorse e maggiori competenze dallo Stato”. Ma è troppo poco per capire come si possa sostenere tanto welfare regionale (ma Fontana non è il candidato di uno schieramento dalle idee liberiste?), e così occorre attendere il suo programma completo che dovrebbe essere pubblico dall’8 febbraio. In fatto di economia e imprese, infine, i candidati dovranno spiegare che tipo di ruolo hanno in mente per Finlombarda, il braccio finanziario del Pirellone (ha una potenza di spesa di 1 miliardo di euro) che nel disegno della giunta Maroni (e quindi, si presuppone, anche in quello di Fontana) dovrebbe diventare una sorta di banca di sistema al servizio delle pmi lombarde. Secondo Tavecchio, però, “sarebbe opportuno ripensare alla funzione di questa società, visto che, anche grazie ai Pir, quello dell’accesso al credito non sembra essere più un tema prioritario per le pmi, mentre sulla regione incombe un problema di carenza infrastrutturale rispetto al resto d’Europa. La gara della Lombardia non è con Roma, bisogna guardare oltre alle Alpi”.

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