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Le accuse ai politici finiscono spesso in niente. I casi Maran e Scavuzzo

Fabio Massa

I cittadini, se conoscessero l'esito di molti ricorsi, avrebbero più fiducia nei confronti degli esponenti politici che prendono decisioni nelle pubbliche amministrazioni

Se i cittadini conoscessero l’esito di molti ricorsi contro le pubbliche amministrazioni (e non lo sanno perché se non c’è il corrotto da appendere non fanno notizia, come si dice in gergo), probabilmente avrebbero un po’ più fiducia anche negli esponenti politici che in quelle pubbliche amministrazioni prendono decisioni. Certo, una parte penserebbe alla teoria del complotto, per cui il cittadino è sempre e comunque vessato o turlupinato, e lo vorrebbero invece come una sorta di cliente: che ha sempre ragione, anche quando ha torto. Ma di costoro non bisogna curarsi. Altri invece, informati di come stanno le cose quando si arriva in tribunale, forse non farebbero di tutta l’erba un fascio. Soprattutto quando i casi vedono da una parte la “Milano bene”, quella “vip”, e dall’altra l’amministrazione comunale.

Uno degli ultimi casi è quello di “Hidden garden”, il progetto firmato da Paolo Mazzoleni, ex componente della Commissione paesaggio del Comune di Milano e attuale assessore comunale all’Urbanistica a Torino. La storia è semplice: in piazza Aspromonte deve sorgere un palazzo di sette piani. Proprio accanto alle abitazioni, ad esempio, del regista Marco Balich, uno dei portavoce dei proprietari delle villette adiacenti. Arriva la magistratura che ordina il sequestro. Respinto dal gip. La pm che segue il caso chiede nuovamente il sequestro. Respinto ancora. Lo chiede una terza volta: respinto di nuovo. Il tutto con un iter giudiziario interessante. La pm infatti scrive di una iniziativa del Comune “compiacente rispetto agli interessi dei costruttori”. Sullo sfondo “l’interessamento dell’assessore Maran”. Ma insomma, l’ecomostro per un giudice terzo non c’è proprio. E neanche l’interessamento di Pierfrancesco Maran per fare un favore ai costruttori. Scrive invece il giudice che ha operato bene perché ha fatto verifiche, ha provato a mediare e – udite udite, e virgolettiamo –  per la sua “notoria correttezza che ha in altre vicende manifestato, dimostrando di essere del tutto insensibile agli interessi dei costruttori”. Il riferimento – immaginiamo – è a quel famoso caso, vecchio di cinque anni, nel quale alcuni costruttori romani vennero in gita a Milano, come Totò e Peppino, e provarono a proporre all’allora assessore all’Urbanistica un appartamento in cambio di “un interessamento” per un erigendo stadio. Lui semplicemente rispose: “A Milano non si usa”". 

Ah, se i cittadini sapessero delle sentenze, oltre che della narrazione d’accusa. Altro caso, ancora caldissimo, è quello della scuola di via Vivaio, il prestigioso Istituto per i Ciechi. Questa volta sul banco degli imputati c’è la vicesindaco Anna Scavuzzo, tirata in ballo dall’associazione Luca Coscioni e da un gruppo di cittadini (tra cui qualche persona particolarmente in vista). Alla vicesindaco è piovuto addosso di tutto, non ultima l’accusa di discriminazione. Anche qui, è utile leggere le sentenze. Il giudice Angelo Ricciardi della prima sezione civile del Tribunale ordinario a esprimersi sulla posizione dei ricorrenti che “hanno chiesto al Tribunale di Milano di accertare la natura discriminatoria del provvedimento con il quale il Comune di Milano ha disposto il trasferimento della scuola secondaria di primo grado di via Vivaio n.7 nella nuova sede di viale D’Annunzio n.15-17”. E dopo una lunga disamina spiega che “il trasferimento della scuola presso la sede di via D’Annunzio possa in ipotesi configurare una condotta discriminatoria dipende dalla nuova configurazione che assumerà l’edificio all’esito dell’istruttoria che il Comune è stato chiamato a svolgere d’intesa con l’istituzione scolastica”. Detto in parole semplici: trasferire la scuola di via Vivaio si può senza discriminare nessuno, purché la qualità non abbia a risentirne. Insomma, anche qui una cosa è quello che esce sui giornali, un’altra quella che esce dalle aule di Tribunale. E vien da chiedersi: perché alla fine i cittadini sanno sempre tutto di chi urla e denuncia, ma non sanno quasi niente di come finiscono le vicende?