Foto Ufficio Stampa Lega/LaPersse

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Incubi d'autunno e la “fusione” che qui potrebbe essere un'idea

Bloccare lo smottamento di consensi verso Fratelli d'Italia: Milano, ancora una volta, sarà un banco di prova decisivo per il centrodestra

Incubi salviniani di una notte di metà ottobre. Il candidato di Giorgia Meloni a Roma vince a mani basse, al ballottaggio delle amministrative, contro un’alleanza impresentabile di Cinque stelle e democratici. Il candidato milanese di Matteo Salvini, che il leader leghista ha designato e ha spinto con una campagna convinta e appassionata insieme a Forza Italia nella logica di una nuova compagine (fusione) del centrodestra, viene battuto da Beppe Sala, che prevale largheggiando. Perché il candidato “salviniano” a Milano tradizionalmente non sfonda. I giornali titolano sul fallimento del progetto “fusion” che il Capitano ha messo in piedi con il consenso informato del Cavaliere, ma molto meno con quello di Forza Italia, in cui prosegue il dilaniamento continuo. Il Cavaliere, scottato, si ritira nel silenzio di Arcore e non dà seguito alla via delineata in estate con Matteo Salvini. La Lega ci riprova con un’opa ostile, e molto sovranista, su quel che resta di Forza Italia. Meloni intanto tira dritta per la sua strada, mentre Giancarlo Giorgetti mastica amaro.

 

Solo uno scenario, un divertissement della politica nel giorno in cui bisogna registrare una nuova fumata nera (dopo il il vertice alla Camera tra tutti i leader del centrodestra) per la scelta del candidato sindaco di Milano. Mentre per Roma Meloni ha ottenuto ieri quel che voleva: il “suo” Enrico Michetti. In realtà le cose potrebbero anche evolvere diversamente, da qui all’autunno, e proprio Milano che ancora una volta, potrebbe essere un banco di prova decisivo per il centrodestra. L’idea della “fusione”, che sia tutta farina del sacco di Salvini o sia più una scelta (conclusiva) di Silvio Berlusconi, ha una logica che, nei territori del nord, potrebbe consolidare due elettorati storicamente compatibili, ma oggi più radicalizzati di un tempo. Bloccando così lo smottamento di consensi verso Fratelli d’Italia. A Milano, città che cinque anni fa Stefano Parisi perse d’un soffio, i sondaggi (e il fiuto di chi la conosce) indicano che il centrodestra in realtà potrebbe farcela: con un buon candidato e soprattutto un candidato “di fusione”. E diventerebbe un segnale nazionale. Il segnale che un centrodestra del nord, meno sovranista di quello che vuole Meloni, continua ad avere la maggioranza: L’operazione Milano, allora, non sarebbe solo una invasione dalle valli o dalle periferie, come fino a poco tempo fa è sembrata essere l’unica strategia leghista.

 

(Nel frattempo, il Pd riesce a liberarsi dalla sindrome di Stoccolma che lo incatena ai grillini e favorisce fuori da sé un polo riformista a supporto, che va da Carfagna a Gelmini a Sala a Calenda a Renzi, sfruttando le magiche alchimie milanesi. Sogni democratici di una notte di metà ottobre).

 

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