Il presidente di A2A, Marco Patuano (Ansa)

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Energia e green, A2A è pronta a trasformare Milano e non solo

Fabio Massa

Intervista al presidente Marco Patuano, guardando molto oltre la pandemia (e una sbirciatina alla politica)

Del recente piano decennale di A2A si è ampiamente parlato: numeri, cifre, investimenti. Generalmente la spiegazione di una società si esaurisce là. In una realtà a partecipazione anche pubblica, invece, è tutto un po’ più complesso. Ci deve essere visione, attenzione ai territori, sensibilità alla politica del bene comune. Specialmente quando azionisti di controllo sono due comuni come Milano e Brescia, e con il capoluogo alla vigilia di una scadenza elettorale. Marco Patuano, presidente della multiutility più importante del Nord Italia, pensa che sarà proprio A2A uno dei veicoli con cui i territori potranno provare a ricostruire dopo la fine del tornado Covid: “I due settori di cui ci occupiamo, la transizione energetica e dell’economia circolare, rappresentano i grandi volani per l’economia dei prossimi anni e devo dire che hanno rappresentato anche nel pieno della crisi una sfida molto importante. Come azienda non ci siamo potuti permettere un giorno di rallentamento ma anzi ci siamo dovuti organizzare nel caso ci fossero cluster di contagio, cosa che grazie a Dio non è successa durante la prima e la seconda ondata. Avevamo e abbiamo dei piani per adempiere ai servizi essenziali. Una sorta di modello bolla, con container-casa dove avremmo isolato i nostri lavoratori, che erano d’accordo con questa strategia di eventuale contenimento. Grazie al cielo non è servito, ma erogare il servizio non è stata una cosa da poco”.

 

  

E non è finita, purtroppo. “Proprio in questi giorni stiamo parlando con la Regione perché pensiamo sia giusto vaccinare tutti i nostri colleghi che operano in prima linea sul territorio, come ad esempio chi si occupa di raccolta rifiuti. Ci sono una serie di rischi, e dobbiamo metterli in sicurezza”. Prima o poi finirà, si spera. “Sì, occorre parlare di futuro. Economia circolare e transizione energetica sono due enormi temi di oggi, non del futuro lontano. E abbisognano prima di tutto di grandissimi investimenti. Faccio un esempio: la città di Milano aveva una dotazione di infrastrutture energetiche all’inizio degli anni Ottanta sostanzialmente identica a quella che ha oggi, in termini di cabine primarie, ovvero dove arriva l’energia e viene poi smistata. Se noi immaginiamo la nostra città al 2030, ne ha bisogno di molta di più, tra il 50 e il 100 per cento in più, soprattutto per l’impatto della elettrificazione dei trasporti e la diffusione della climatizzazione. Da qui al 2030 dobbiamo investire circa 1,5 miliardi sulla rete elettrica della città di Milano. Già per il 2021 stiamo progettando di aumentare i nostri investimenti di quasi il 50 per cento, andremo sopra il miliardo”.

 

Ambizioso. E la politica? Stimola o va a rimorchio? “Guardiamola da un punto di vista non locale, ma continentale. Io credo che l’Europa possa recuperare eccellenza anche di know-how dopo tanti anni di subalternità. Oggi il mondo della tecnologia si è polarizzato est-ovest, l’Europa è andata al traino su molti settori. Nel processo di transizione energetica l’Europa può riscoprire una centralità straordinaria nella mappa tecnologica. E’ un’occasione da non farsi sfuggire”. Intanto a livello locale uno dei vostri azionisti, il Comune di Milano, va al voto in autunno. “Cerco di rispondere in modo non scontato: la straordinaria forza di Milano è che è riuscita a dare continuità a un progetto anche di fronte a variazioni di colorazione politica. Nessun sindaco ha buttato a mare quel che è stato fatto prima di lui. Ogni sindaco ha concentrato i propri forzi sulle proprie priorità, ma Milano ha continuato un discorso, continuerà a essere la sua forza”.

 

Tuttavia è chiaro che in futuro sarà difficile il rapporto con le partecipate: fin quando il bilancio comunale era in nero, non c’era tensione sulle società. Non è più così. “Noi siamo una grande partecipata ma abbiamo una condizione privilegiata per vari motivi. Abbiamo dimostrato resilienza durante il 2020 perché i risultati sono stati molto buoni. Questo ci permette di mantenere un beneficio non solo per gli azionisti di controllo, ma per tutti gli azionisti, ovvero quello di pagare un dividendo su cui si può fare affidamento. La vera sfida è di mantenere questa politica di dividendi, cosa che abbiamo promesso al mercato, e al contempo di investire tantissimo in crescita per portare la società nel giro di 5 anni ad essere una realtà molto più grande, più diversificata in alcuni dei suoi business”. Esempi? “Stiamo investendo molto nelle rinnovabili, e pur con una attenzione alla Lombardia, che è la nostra base, possiamo avere anche un obiettivo e una ambizione più ampia. L’Italia ma addirittura l’Europa”.

 

Un tempo A2A veniva accusata di gigantismo. Proseguirà la politica di acquisizioni? “Mettiamola così: A2A un tempo cercava di portare dentro di sé i territori, ora invece sono i territori che vogliono entrare in A2A. L’investimento mal si sposa con la dimensione piccola: A2A consente di fare quello che alcune in house purtroppo non possono fare”. Infine, la nuova sede. Ha senso in un mondo di smartworking? “Non si può smaterializzare il mondo del lavoro, quindi gli uffici continueranno ad esistere. Oggi sulla città di Milano abbiamo il problema oggettivo di essere sparpagliati: la nuova sede ne sostituirà ed accorperà ben sette. Rimarranno le sedi operative. In una sede unica potremo applicare i criteri che ottimizzano il lavoro in presenza con il remote working. E avrà un impatto zero dal punto di vista ambientale“. Due richieste per il nuovo governo Draghi. “Me ne basta una. La permessistica. Migliorare la permessistica. Ogni volta per avere i permessi di qualunque cosa è una via crucis: in Italia si associano due fenomeni: la burocrazia e il nimby. L’addizione di questi due fenomeni è disastrosa per chi vuole sviluppare questo paese”.

 

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