l'evento

Mori vs Ingroia

Ermes Antonucci

A Roma va in scena il confronto-scontro fra il generale e l’ex pm della trattativa stato-mafia, che dice: "Chiederei di nuovo il rinvio a giudizio di tutti gli indagati". "Sono stato accusato di aver tradito lo stato, l'ho trovato inaccettabile", replica Mori

Il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno da una parte, Antonio Ingroia dall’altra. L’incontro-scontro fra chi è stato accusato per oltre un decennio di aver ordito la fantomatica “trattativa stato-mafia” e il magistrato che per primo ipotizzò questa tesi è andato in scena ieri alla sala Capitolare della biblioteca del Senato, per iniziativa della Fondazione Italia Protagonista. Autore di questo miracolo il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, che ha personalmente invitato Ingroia all’evento, incentrato sulla presentazione del libro di Mori e De Donno, “La verità sul dossier mafia-appalti”. La guerra giudiziaria è finita (la Cassazione ha assolto tutti gli uomini dello stato imputati del processo sulla Trattativa: Mori, De Donno, ma anche l’ex comandante del Ros Antonio Subranni e l’ex senatore Marcello Dell’Utri), le armi processuali sono state deposte, così il dibattito segue le regole del confronto civile

 

Nessuna zuffa, ma – almeno inizialmente – l’atmosfera è densa di tensione. A movimentare la situazione ci pensa subito Ingroia, oggi avvocato: “Se facessi ancora il pm metterei di nuovo la mia firma in calce alla richiesta di rinvio a giudizio del procedimento Trattativa. Questo perché un pm non fa scelte discrezionali, ha obbligo di esercitare l’azione penale se ci sono i presupposti per farlo”. “La Cassazione ha mandato assolti gli imputati e sul piano umano non posso che compiacermene”, aggiunge Ingroia rivolgendosi a Mori e De Donno, “ma sul piano tecnico non si può dire che la nostra fu una ricostruzione fantasiosa”.

 

“La Cassazione – prosegue – ha mandato assolti tutti gli imputati per non aver commesso il fatto. Noi sappiamo che il fatto non era la trattativa, ma la minaccia della mafia nei confronti dello stato. La sentenza riconosce che questa minaccia c’è stata in parte, sarebbe arrivata fino al livello di Mori, Subranni e De Donno, ma non c’è prova che poi sarebbe stata veicolata al governo”. Insomma, Ingroia rimane avvinghiato al suo teorema, e poi lancia l’ennesima invettiva: “Sono convinto che se l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non avesse sollevato il famoso conflitto di attribuzione oggi saremmo al tempo della verità”. Peccato che il destinatario dell’accusa di Ingroia sia nel frattempo deceduto e non abbia la possibilità di replicare. Questione di stile.

 

Le parole di Ingroia non scompongono Mori. Interpellato sull’atteggiamento avuto in tutti questi anni, cioè quello di attendere sulla riva del fiume il passaggio dei cadaveri dei suoi nemici, il generale dice: “I miei nemici sono un certo numero di magistrati, fra cui a suo tempo c’era anche Ingroia, che a mio avviso mi accusavano ingiustamente”. “All’epoca Ingroia conosceva me e De Donno. Potevamo essere accusati di errori, di sbagli, ma non di aver tradito lo stato. E’ questo che mi innervosisce tuttora. Sono stato accusato di aver tradito lo stato insieme a Riina e Provenzano, cioè i soggetti per la cui cattura ho lavorato tutta la mia carriera. L’ho trovato inaccettabile”, aggiunge Mori. 

 

I toni fra gli ex imputati e l’ex pm diventano con i minuti più dialoganti, persino quasi concilianti, una volta passati ad analizzare i misteri che ancora avvolgono l’inchiesta mafia-appalti (condotta, prima della loro morte, da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con i carabinieri del Ros), la discutibile gestione della procura di Palermo sotto la guida di Pietro Giammanco, i depistaggi avvenuti attorno alle indagini sulla strage di Via d’Amelio. Segno che il tempo può forse aiutare a smussare alcune posizioni. “Al di là delle rispettive posizioni, col dottor Ingroia abbiamo obiettivi comuni, volevamo bene alle stesse persone. Se ognuno facesse qualcosina in più potremmo contribuire a trovare una verità vera”, conclude De Donno, in maniera molto ottimistica.