l'intervista

“I pm della Trattativa non hanno dimostrato nulla, né sul piano penale né su quello storico”. Parla Salvatore Lupo

Ermes Antonucci

Lo storico esperto di mafia: "La Cassazione ha chiarito in maniera definitiva l’assenza di reato, ma non si può neanche dire che i magistrati abbiano ricostruito sul piano storico i fatti di quel periodo. La storiografia si basa sull’analisi di fatti e documenti certi, non teoremi"

“Sono contento della decisione della Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva l’assenza di reato nel processo sulla cosiddetta ‘trattativa stato-mafia’ e anche il tentativo dei pm di individuare il reato ricorrendo a un metodo antigiuridico. Non parlerei, tuttavia, di approccio storiografico da parte dei pm”. A parlare, intervistato dal Foglio, è Salvatore Lupo, professore di Storia contemporanea all’Università di Palermo e tra i massimi conoscitori della storia della mafia. “La storiografia ha una sua nobiltà, non può essere usata per indicare un insieme di insulsaggini – spiega Lupo – La storiografia si basa sull’analisi di fatti e documenti certi, mentre in questo caso non c’è nulla di certo. C’è solo un teorema, quello della Trattativa, che non è mai esistita. La storiografia non ha niente a che vedere con la dietrologia. Parlerei quindi piuttosto di approccio storico-politico da parte dei magistrati, o di approccio ideologico. Anche perché in caso contrario il rischio è che il pubblico creda che i fatti siano veri”.

 

Lupo si riferisce alle motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione ha messo la parola fine al processo sulla cosiddetta “trattativa stato-mafia”, assolvendo tutti gli imputati, in primis gli ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, e l’ex senatore Marcello Dell’Utri. Nelle motivazioni la Corte “bastona” i giudici di merito, sia quelli di primo grado (che avevano condannato gli imputati), sia quelli di appello, che ribaltando la precedente sentenza hanno assolto gli imputati. “Deve rilevarsi che la sentenza impugnata, e ancor più marcatamente quella di primo grado – scrive la Cassazione – hanno optato per un modello di ricostruzione del fatto penalmente rilevante condotto secondo un approccio metodologico di stampo storiografico”. In questo modo, le sentenze di merito “hanno finito per smarrire la centralità dell’imputazione nella trama del processo penale, profondendo sforzi imponenti nell’accertare fatti spesso poco o per nulla rilevanti nell’economia del giudicio”. Insomma, anziché ricercare le prove del presunto reato (quello di minaccia a corpo politico dello stato), i pm hanno cercato di riscrivere la storia di una stagione del nostro paese. 

 

L’uso del termine “storiografico”, però, sottolinea Lupo, non solo non è corretto, ma è anche pericoloso. “Il difetto dell'accusa è che presuppone una trama politica segreta, misteriosa, che non esiste. La storiografia invece si rifà a documenti certi, è un modo di appurare la verità. Ma in questo caso non c’è nessuna verità, c’è solo un teorema. Non si può affermare che il fatto sia vero ma che non sia penalmente rilevante. No. Il fatto è falso, punto”, afferma Lupo. 

 

“Prendiamo la vicenda del mancato rinnovo del 41 bis a circa 300 mafiosi da parte dell’allora ministro della Giustizia, Giovanni Conso – dice Lupo – I pm hanno subito pensato che l’unica spiegazione possibile fosse che Conso era partecipe di un complotto. Lo hanno fatto per via deduttiva, senza alcun elemento empirico che dimostrasse tutto ciò. Questo metodo non funziona dal punto di vista penalistico, ma non funziona neanche dal punto di vista storiografico. Se i magistrati avessero ragionato storiograficamente si sarebbero chiesti in cosa consistesse il garantismo di Conso, a quali argomenti garantisti del dibattito pubblico e giuridico lui potesse riferirsi, e quindi avrebbero facilmente dedotto che c’erano altre ragioni oltre al complotto per le quali Conso si potesse essere comportato in quel modo. Questo vale per qualsiasi evento citato dai pm”. 

 

Insomma, ribadisce Lupo, non è possibile definire “storiografico” l’approccio utilizzato dai pm palermitani, fondato sull’interpretazione di fatti sulla base di deduzioni indimostrate e supposizioni. Non si tratta di un dettaglio da poco: l’uso del termine “storiografico”, infatti, finisce per attribuire una certa credibilità scientifica al lavoro svolto dai pm. “Se non hanno individuato il reato, i magistrati hanno almeno ricostruito sul piano storico i fatti di quel periodo”, potrebbe pensare il cittadino. Sbagliando. “Perché la storiografia impone precisione, accuratezza, metodo”, ripete Lupo. “La storiografia non sono chiacchiere”. Come a dire: del lavoro dei pm palermitani non c’è da salvare proprio niente, né sul piano penale, né sul piano “storiografico”. 

Di più su questi argomenti: