La guerra “rosa” che scuote il ministero della Giustizia

Ermes Antonucci

Lo scontro tra la vicecapo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, e la capo segreteria, Gippy Rubinetti, travolge il ministero di Via Arenula e paralizza l'azione riformatrice di Nordio

Una guerra intestina rende da mesi invivibile la vita all’interno del ministero della Giustizia. Una guerra “rosa”, nel senso che vede contrapposte due donne di peso nel mondo della giustizia. Due persone di grande fiducia del Guardasigilli Carlo Nordio, che le ha volute con sé a Via Arenula, non sapendo che questo binomio avrebbe ben presto scatenato un conflitto impossibile da gestire, che sta facendo finire su un binario morto le tanto annunciate riforme garantiste e liberaliE’ la guerra delle due Giusi: Giusi Bartolozzi, vicecapo di gabinetto, e Giuseppina, detta Gippy, Rubinetti, a capo della segreteria del ministro. La prima, come abbiamo già raccontato su queste pagine, è una delle tante toghe collocate fuori ruolo al ministero. La seconda, invece, è una delle poche avvocate al servizio del Guardasigilli.

 

Anche in questa diversità professionale sono probabilmente da rintracciare le ragioni della distanza di vedute tra le “due Giusi”, spesso viste discutere animatamente tra i corridoi del ministero. Bartolozzi è stata giudice a Gela, a Palermo e poi alla Corte d’appello di Roma. Dopo è entrata in politica, venendo eletta alla Camera nel 2018 con Forza Italia. Nel luglio 2021 passò al gruppo Misto dopo essere stata rimossa dalla commissione Giustizia per aver annunciato il voto contrario a un emendamento proposto da FI, considerato norma ad personam dalle opposizioni. Il ritorno di Bartolozzi nei ranghi della magistratura è durato poco. Appena diventato ministro, infatti, Nordio ha deciso di nominare il presidente del tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo, come suo capo di gabinetto e Bartolozzi sua vice. Rubinetti svolge invece le funzioni di avvocato nello studio dell’ex vicepresidente del Csm, Michele Vietti, e fa parte del consiglio di amministrazione della fondazione Einaudi.  

 

Sia Bartolozzi sia Rubinetti hanno un forte ascendente sul ministro Nordio, anche se è soprattutto la prima a essersi fatta strada in Via Arenula. “Al ministero non si prendono più decisioni in maniera collegiale, tutto è accentrato nelle sue mani, è lei che comanda”, ci hanno riferito lo scorso giugno alcune fonti del ministero parlando di Bartolozzi, ormai ribattezzata la “zarina di Via Arenula”: “Bypassa sistematicamente i vertici degli uffici di diretta collaborazione del ministro. Fa il vice, il capo di gabinetto, il sottosegretario e anche il viceministro. Si sostituisce a tutti i capi, anche dei vari dipartimenti. Fa tutto lei”. Con un occhio agli interessi delle toghe fuori ruolo, come lei. Portava la firma di Bartolozzi, ad esempio, l’emendamento al decreto sulla Pubblica amministrazione elaborato per aumentare di dieci unità il numero di magistrati da destinare al ministero della Giustizia. Lo stesso emendamento, poi ritirato, prevedeva anche la creazione nell’ufficio di gabinetto del Guardasigilli di un posto di funzione dirigenziale, da retribuire con 300 mila euro all’anno.

 

Rubinetti, dal canto suo, riferiscono sia più sensibile – logicamente – alle posizioni dell’avvocatura. Tuttavia, è piuttosto diffusa tra alcuni componenti del governo la sensazione che anche lei a volte difenda gli interessi delle toghe. Col risultato, paradossale, che sia Bartolozzi sia Rubinetti vengono di volta in volta individuate come le protettrici scomode dei privilegi della magistratura.  

 

In generale, quella tra gli interessi togati e dell’avvocatura appare come una sfida impari, come confermano le ultime novità provenienti dal ministero. Per elaborare i decreti attuativi della riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario e del Csm, Nordio ha nominato una commissione composta da 26 membri, di cui diciotto magistrati (inclusa Bartolozzi). 

 

Come era ampiamente prevedibile, la bozza di decreto legislativo formulata dalla commissione prevede un vasto annacquamento delle novità garantiste introdotte dalla riforma Cartabia (come il fascicolo per la valutazione del magistrato, le limitazioni al collocamento fuori ruolo delle toghe, l’introduzione di criteri più obiettivi per le nomine da parte del Csm).

 

Se ciò è avvenuto attorno a una legge delega approvata dal passato Parlamento, anche piuttosto marginale, si pensi a cosa possa accadere nei corridoi del ministero quando alla Camera dovrebbe cominciare l’esame delle proposte di riforma costituzionale della giustizia. Altro che guerra rosa, un conflitto nucleare. Oppenheimer.
 

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