(foto Ansa)

L'editoriale del direttore

I lanzichenecchi delle procure fanno più paura di quelli dei treni

Claudio Cerasa

La  Consulta ha stabilito che le conversazioni di Matteo Renzi erano state intercettate illecitamente. Una procura che si muove senza osservare la Costituzione e senza rispettare il Parlamento dovrebbe indurre ora il ministro della Giustizia  a intervenire

I lanzichenecchi di Foggia fanno paura, quelli delle procure ancora di più. Sono passati quattro giorni dalla clamorosa sentenza con cui la Corte costituzionale ha dato ragione a Matteo Renzi accogliendo il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della procura di Firenze. La storia la conoscete. La procura di Firenze considerava legittimo sequestrare delle conversazioni che riguardavano Renzi dallo smartphone di uno degli indagati dell’inchiesta Open. La difesa messa in campo da Renzi considerava l’accaduto inaccettabile. Tesi: i messaggi elettronici sono riconducibili alla nozione di “corrispondenza” e la corrispondenza per i parlamentari viene tutelata in modo particolare dalla Costituzione, con l’obbligo per i pubblici ministeri di chiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza (articolo 68). La Corte costituzionale ha dato ragione a Renzi e lo ha fatto affermando un principio importante. Che dovrebbe essere scontato ma non lo è.

“Gli organi investigativi sono abilitati a disporre il sequestro di ‘contenitori’ di dati informatici appartenenti a terzi, come smartphone, computer o tablet, ma quando riscontrano la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, devono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza”. Il dato interessante relativo a questa notizia non è solo ciò che ha stabilito la Corte costituzionale. Ma è anche il modo con cui negli ultimi giorni questa notizia è stata trattata. Boxini a pagina trenta, tagli bassi, colonnini anonimi. La questione, ovviamente, non è interessante per quello che può significare per il futuro Renzi. E’ interessante per qualcosa di più importante. Per tutto quello che può significare sul terreno del rispetto del Parlamento. Per tutto quello che può significare sul tema del giusto equilibrio tra potere legislativo e potere giudiziario. Per tutto quello che riguarda una questione tabù, che prima o poi meriterebbe di essere denunciata. Ovverosia: la presenza di una magistratura inquirente che in teoria dovrebbe garantire il rispetto della legalità ma che nella realtà si sente così spesso sopra le parti da sentirsi autorizzata a violare le regole per affermare i propri pieni poteri. E la realtà di questa storia, della storia di Renzi, evidenzia un tema enorme: il tentativo da parte di un magistrato di violare la Costituzione per poter utilizzare conversazioni private di un senatore della Repubblica senza passare prima dal Parlamento. Verrebbe da chiedersi dunque: ma dove sono i difensori della Costituzione? Dove sono i difensori della democrazia? Dove sono i difensori del Parlamento? Dove sono gli antipopulisti che alzano il sopracciglio ogni volta che il primato della politica viene messo sotto scacco?

 

La storia delle conversazioni di Renzi intercettate illecitamente ha anche una implicazione ulteriore. Un corno che riguarda un fatto denunciato dall’ex presidente del Consiglio in Parlamento. Era il 1° dicembre e Renzi disse: “C’è stata un’ordinanza della Corte di cassazione che ha ordinato di annullare senza rinvio il sequestro e di restituire il materiale sequestrato senza mantenimento degli atti sequestrati nei confronti di un indagato (Carrai). Ebbene – ha detto Renzi – il pubblico ministero ha scelto di prendere il materiale e di mandarlo al Copasir. La domanda è se è a conoscenza di questo fatto e che provvedimenti intende prendere. Questo atto o è eversivo o è anarchico o è un atto di cialtronaggine da parte del pm. Quest’ultima ipotesi la escludo, sulle altre due aspetto la sua risposta”. Una procura che si muove senza osservare la Costituzione, senza ascoltare la Cassazione, senza rispettare il Parlamento dovrebbe indurre un ministro della Giustizia con la testa sulle spalle a intervenire e non restare con le mani in tasca. I lanzichenecchi di Foggia fanno paura, quelli delle procure ancora di più. Suggeriamo ad Alain Elkann un giro dalle parti di Firenze.
 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.