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Cercansi lanzichenecchi

Siamo andati in treno a Foggia. E abbiamo capito Elkann

Antonio Pascale

L’incredibile articolo di Alain ci ha ispirato e siamo partiti. Nonostante Proust, nonostante il Financial Times, scesi dal treno si finisce per dire la cosa che diceva sempre la nonna: dove andremo a finire?

Ho fatto tutto di corsa, eh. Per prendere il treno delle 17.43 per Foggia, alla ricerca dei lanzichenecchi, sulla scia di Alain Elkann. Anche un po’ arrangiato. Questo perché il vestito di lino come quello di Elkann non ce l’ho e sinceramente, vi confesso non c’ho nemmeno il physique du rôle per indossarlo. Però mi sono comprato una camicia di lino (credo sbagliando abbinamento di colori). Proust ce l’ho, edizioni Einaudi. Stilografica niente, e va bene, mi sono portato una penna buona che mi hanno regalato quando ho vinto il premio Chiara. Ah, niente Financial Times, nemmeno il New York Times e per Robinson che vi devo dire. Insomma vestito così, certo lontanissimo da Elkann, però noblesse oblige, in prima classe mi sono avviato, alla ricerca dei lanzichenecchi, e cioè quegli strambi giovani descritti da Elkann – in un ormai celebre, must, cult articolo pubblicato da Repubblica.

Oh, non è la prima volta che prendo quel treno, lo faccio ogni volta che scendo da Roma a Caserta, e siccome mi sta capitando spesso, posso dire che di quel treno posseggo un campione statistico rappresentativo. Primo problema da affrontare e non solo su quel treno: il problema del prossimo. Ebbene, il problema del prossimo è da sempre la sua eccessiva prossimità. Quindi probabile che Elkann come me si sia trovato accanto uno eccessivamente vicino – e quello del resto avrà pensato la stessa cosa di me. Secondo problema: il caldo. Nonostante l’aria condizionata e il lino (che poi la mia camicia di lino era pesantissima e ho invidiato quelli in t-shirt bianca) probabile che il caldo produca non dico allucinazioni ma quel leggero senso di disorientamento che poi ti fa vedere le cose in maniera esagerata. Terzo problema: non c’erano molti giovani, ma tanti pendolari (scendevano a Caserta e Benevento) e qui ci sarebbe da aprire una questione sul lavoro e sulla sua dislocazione, ma vabbè, poi il lettore si scoccia e forse si è scocciato pure Elkann – anche se lui per il suo status altolocato e da intellettuale certe cose dovrebbe considerarle. C’erano anche turisti (andavano a Bari, a Foggia non c’è questo grande patrimonio artistico, Benevento invece non è male, ma è poco conosciuta). Probabile che Elkann abbia incontrato una comitiva di ragazzi in gita e si sa le gite se le fai poi te le ricordi per la vita. Se invece le subisci, cioè incontri una comitiva in gita, ti sale la carogna, perché sono tanti, stravaccati e quindi rimandano al problema uno: il prossimo tuo. 

Bene, mi sono messo a riflettere sui lanzichenecchi. Mi sono chiesto, da dove venivano? Dove andavano? Da dove venivano, facile: Roma. Dove andavano? Questa domanda è più difficile. Da casertano tendo a dire che quelli di Benevento, per non parlare dei foggiani, possono essere dei lanzichenecchi, sai sono un po’ schiavi della terra, tuttavia si sono arricchiti e vogliono mostrare i segni della scalata sociale. Ma è probabile che i foggiani e i beneventani pensino la stessa cosa dei casertani. Che fossero baresi? Del resto per noi casertani, faccio per dire, i salernitani sono pesciaioli. Ma insomma, dai, queste definizioni campanilistiche mica vanno bene per un saggio antropologico. Poi, facendo la somma dei tanti viaggi che ho fatto, una cosa posso dirla, lanzichenecchi no, ma su quel treno ragazze molto belle sì – da casertano tendo a dire che sono belle perché sono di Caserta. Alcune vi devo dire la verità, hanno una particolarità fisica che mi attrae, ma non vorrei incorrere nel sessismo – anche se vi posso garantire che quelle di Caserta hanno questa particolarità. Comunque, ho cercato di parlare con una, ma lei niente, forse perché stavo leggendo Proust e lei invece un libro di matematica, poi sono sicuro che la mia camicia di lino non mi donasse particolarmente, o forse, più probabilmente perché mi sto facendo vecchio. 

E allora mi sono sentito come si deve essere sentito Elkann, vecchio, un po’ fuori moda e ho cominciato a riflettere. Su cosa? Sull’abbondanza. Quel fenomeno tanto richiesto a parole e tanto detestato nei fatti. Quel fenomeno sociale (con molti motori, tra cui quello tecnologico) attraverso il quale i meno abbienti sono diventati più abbienti e hanno, incredibile a dirsi, sviluppato una propria cultura, che ovvio non piace a Alain Elkann. 

Nella sostanza riguarda un esercito di lanzichenecchi, cioè di ex contadini (come me, come mio padre, mia nonna e via così fino al Neolitico) che solo di recente hanno acquistato potere di spesa e anche potere culturale, sottraendo così potere ai religiosi e agli intellettuali – diventando così prossimi tuoi. Quindi scendi dal treno e nonostante Proust, nonostante il Financial Times finisci per dire la cosa che diceva sempre mia nonna: dove andremo a finire? Che poi è la cosa che molti intellettuali dicono e non solo sul treno Roma-Foggia ed è la stessa cosa che ho pensato io dopo aver letto articolo di Elkann: con questa classe dirigente, come direbbe Nanni Moretti, non vinceremo mai.

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