Un bilancio

Cosa resta del vero Nordio?

Ermes Antonucci

Aveva promesso di cambiare la giustizia e invece la realtà ha fatto in modo di cambiare lui  

Sono passati poco più di sette mesi da quando il Guardasigilli Carlo Nordio illustrò in Parlamento le sue linee programmatiche. Una rivoluzione garantista: riforma del processo in senso accusatorio, separazione delle carriere tra pm e giudici, rafforzamento della presunzione di innocenza, contrasto all’abuso della carcerazione preventiva, riforma delle intercettazioni, revisione dei reati contro la Pubblica amministrazione, pene alternative al carcere. Sono trascorsi sette mesi e di questo vasto programma è stato realizzato ben poco. A esser precisi nulla, se non un primo “pacchetto” di proposte.

 

Ci riferiamo al primo pacchetto di riforme della giustizia promosso da Nordio e varato dal Consiglio dei ministri lo scorso 15 giugno, ora in attesa di essere trasmesso al Senato per la discussione parlamentare. Il termine “pacchetto” riflette il tenore delle riforme, molto limitate, contenute nel provvedimento

 

Cercando di essere sintetici, il testo prevede: l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, ma con la possibilità che nel corso dell’esame parlamentare, viste le resistenze della Lega e il rischio di violare alcuni obblighi internazionali, l’abolizione si trasformi nell’ennesima modifica del reato (dopo quelle del 1997 e del 2020); una maggiore tipizzazione del reato di traffico di influenze illecite; una modifica della disciplina delle intercettazioni che si limita alla sola questione della pubblicazione delle captazioni, senza intervenire sulle loro modalità di impiego e con un risultato finale comunque piuttosto deludente (ogni decisione sulla “rilevanza” delle conversazioni è rimessa alla discrezionalità di pm e giudici); la sostituzione del gip con un organo collegiale per l’adozione delle misure cautelari (l’entrata in vigore di questa misura è già posticipata – per il momento – di due anni, in attesa dell’assunzione di nuovi magistrati); il divieto per i pubblici ministeri di proporre appello contro le sentenze di assoluzione, ma solo quelle relative a reati di contenuta gravità (tecnicamente quelli per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio). Il testo nulla dice sul vero “elefante” nella stanza, vale a dire l’assenza di risorse finanziarie, umane e tecnologiche per velocizzare la macchina giudiziaria.

 

Ora, questo pacchetto di modeste riforme non solo dovrà attraversare l’esame del Parlamento ed essere approvato, ma si colloca ben lontano dalla rivoluzione copernicana annunciata da Nordio sette mesi fa. Se questo è il passo, vien da chiedersi quale sarà il clima quando (e se) il Guardasigilli deciderà di intervenire con le riforme più radicali: la separazione delle carriere tra pm e giudici, la riforma del Csm, l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Tutte riforme che, per essere compiute, richiederanno modifiche di carattere costituzionale e quindi un consenso maggiore tra le forze politiche di maggioranza. Come se non bastasse, dopo aver riempito la struttura ministeriale di magistrati fuori ruolo, ha deciso che questi dovessero avere la preminenza anche nella commissione istituita per scrivere i decreti attuativi della riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario.   

 

La domanda sorge spontanea: dov’è il vero Nordio? Dov’è finito il Nordio di sette mesi fa, che di fronte a deputati e senatori elencava con lucidità i mali della giustizia italiana e ne illustrava una riforma a 360 gradi?

 

L’ex magistrato sembra ormai essersi adagiato ai ritmi della politica contingente. Mal supportato dalla sua struttura tecnica – capeggiata dalla “zarina” Giusi Bartolozzi, formalmente vicecapo di gabinetto, sostanzialmente la donna dalle cui parole (e grida) tutto dipende – Nordio ha finito per ridurre il suo ruolo a quello di commentatore dell’attualità,  evocando interventi e modifiche legislative, come quella sul concorso esterno in associazione mafiosa, poi puntualmente smentite dalla premier Meloni. Un ruolo non proprio all’altezza della sua statura intellettuale.