Caso Ocse, i malumori delle toghe per il silenzio dell'Anm

Ermes Antonucci

Magistrati in fibrillazione per il mancato intervento dell’Associazione nazionale magistrati a tutela dei giudici criticati dall’Ocse per le troppe assoluzioni nei casi di corruzione internazionale. Intanto interviene Costa (Azione)

Sono diventate un caso le critiche rivolte dal Gruppo di lavoro anticorruzione dell’Ocse ai giudici italiani, accusati di assolvere troppo nei processi per corruzione internazionale, così come lo sono diventate le parole, rilasciate ieri al Foglio, dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, che anziché prendere posizione a tutela delle toghe italiane ha detto: “Per noi non si pone un problema di lesione dell’indipendenza dei giudici”.

 

Nel rapporto di 180 pagine, gli esaminatori dell’Ocse non solo si dicono “seriamente preoccupati” dal fatto che negli ultimi anni “i processi in Italia sui casi di corruzione internazionale abbiano prodotto un alto numero di sentenze di assoluzione”, ma si spingono addirittura a contestare nel merito le valutazioni effettuate dai giudici italiani in alcuni processi di grande importanza, come il caso Eni-Nigeria (finito con l’assoluzione degli imputati). Secondo il gruppo di lavoro, i giudici italiani non solo avrebbero sbagliato metodo “esaminando le prove indiziarie solo individualmente, anziché nella loro totalità”, ma non avrebbero valutato in maniera adeguata gli elementi raccolti dall’accusa (addirittura rievocati nel rapporto come prova di corruzione). 

 

La mancata presa di posizione del presidente dell’Anm a tutela delle toghe  ha prodotto profondi malumori nella magistratura. “Trovo sinceramente stupefacente la posizione espressa da Santalucia di fronte a un attacco frontale, condotto ai massimi livelli, contro un organo giurisdizionale italiano sol perché autore di una decisione ‘sgradita’”, dichiara al Foglio Andrea Mirenda, giudice del tribunale di sorveglianza di Verona, eletto componente togato del prossimo Csm. “L’Anm ha chiesto pratiche a tutela per i motivi più vari, anche di modesta consistenza – aggiunge – Dire qui, come fa il presidente Santalucia, che va tutto bene suscita profonda perplessità. Sarebbe interessante capire se la sua posizione è condivisa in seno alla giunta esecutiva centrale”.

 

Per Pasquale Grasso, ex presidente dell’Anm, “le affermazioni del report manifestano una chiarissima indistinzione e confusione tra i piani della politica, della legislazione (vigente e sperata), della giurisdizione, in quest’ultima senza distinguere (o capire) lo specifico ruolo (e la separazione) rivestito da pm e giudici”. “Non è immaginabile nel nostro ordinamento – prosegue – prevedere standard probatori differenziati a seconda del bene giuridico protetto dalla norma penale, soluzione che invece pare suggerire tra le righe il report in esame. Non commento, poi, la lezione sul metodo di valutazione delle prove  suggerito con fare professorale dall’Ocse, peraltro tradendo un consistente appiattimento su quanto riferito (in questionari al riguardo) da non meglio indicati pubblici ministeri, considerati quasi un soggetto indifferenziato rispetto ai giudici, tutti con il compito di perseguire la pubblica corruzione; il che, allo stato, non è”.

 

Anche per Angelantonio Racanelli, procuratore aggiunto a Roma, “si tratta di una pericolosa interferenza sulla giurisdizione italiana. Spero che l’Anm batta un colpo”. 

 

Il risultato, se si vuole paradossale, è che a muoversi in difesa dell’indipendenza dei magistrati stavolta è la politica. “Presenterò un’interrogazione al nuovo Guardasigilli, non appena sarà insediato, per evidenziare le singolari prese di posizione provenienti dall’Ocse decisamente lesive dell’autonomia e indipendenza dei magistrati italiani”, ha annunciato il deputato Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione. “Non sta né in cielo né in terra – ha aggiunto – che un organismo internazionale si permetta di contestare il numero di assoluzioni per corruzione internazionale attribuendo la responsabilità al nostro ordinamento perché richiede una ‘prova solida’ del fatto di reato (vorrebbero forse una prova flebile) e i giudici nella valutazione degli elementi di prova. Per non parlare delle intromissioni su procedimenti penali specifici con giudizi che solo l’Anm (forse abituata a difendere solo chi accusa e chi condanna) non ritiene lesivi dell’autonomia e indipendenza della magistratura”.