cortocircuito forcaiolo

Il teorema delle stragi ordite da Berlusconi travolge persino Boccassini

Ermes Antonucci

La procura di Firenze ha messo sotto indagine l’ex toga simbolo della procura di Milano, ora in pensione, per non aver rivelato una fonte in un’inchiesta parallela a quella sui mandanti delle stragi mafiose del 1993, che per i pm sarebbero il Cav. e Dell’Utri

Cosa succede quando le vie di due pubblici ministeri immersi nella cultura del sospetto si incontrano? La risposta giunge da Firenze, dove il pm Luca Tescaroli col collega Luca Turco ha messo sotto indagine l’ex toga simbolo della procura di Milano e della stagione della guerra giudiziaria a Berlusconi, Ilda Boccassini, in pensione da quattro anni e mezzo. L’accusa è di non aver rivelato una fonte in un’inchiesta parallela a quella sui mandanti delle stragi mafiose del 1993, che per Tescaroli vennero ordite proprio dal Cav. e da Dell’Utri. Insomma, cortocircuito forcaiolo dei pm antiberlusconiani. 

 

Secondo quanto è emerso, Boccassini è indagata per false informazioni  dal dicembre 2021, quando fu interrogata dai pm di Firenze (insieme a quelli di Caltanissetta) su un dettaglio riportato nel suo libro autobiografico “La stanza numero 30”. La notizia dell’iscrizione di Boccassini nel registro degli indagati non è mai uscita sui giornali, segno che, se solo si vuole, il segreto  investigativo può essere rispettato (ma vale solo per i magistrati in servizio e in pensione?).  

 

Per comprendere comunque a pieno il divertente cortocircuito che emerge dalla vicenda bisogna fare un passo indietro, fino al 1992, quando la giovane pm Boccassini chiede e ottiene di essere trasferita da Milano alla procura di Caltanissetta per indagare sull’uccisione del suo amico Giovanni Falcone. Più che un trasferimento, una missione. Nel corso di queste indagini, nel 1993 Boccassini si ritrova a gestire con gli altri colleghi  l’inizio della collaborazione con la giustizia del mafioso Salvatore Cancemi, ritenuto molto vicino al boss Raffaele Ganci e allo stesso Totò Riina. La collaborazione di Cancemi fu piuttosto movimentata: il mafioso ammise di aver partecipato alla strage di Capaci soltanto dopo quattro mesi dalla sua presentazione ai Carabinieri, e solo a seguito delle pressanti contestazioni dei procuratori. 

 

Il 9 novembre 1993 i pm di Caltanissetta interrogano Cancemi, il quale riferisce che Riina aveva dei rapporti politici e che grazie a questi rapporti politici aveva instaurato una strategia che mirasse alla revisione del maxi-processo. Inoltre, riferisce di aver saputo da Ganci che Riina aveva avuto un incontro con “persone importanti” prima che venisse ucciso Falcone. Tuttavia, alla domanda dei pm sull’identità di questi soggetti, Cancemi non aveva saputo rispondere. 

 

Dopo soli tre mesi, il 18 febbraio 1994, in piena campagna elettorale e dopo la famosa discesa in campo di Berlusconi (26 gennaio 1994), Cancemi viene interrogato da Boccassini e alla stessa domanda su quali fossero i referenti politici di Cosa nostra risponde: “Riina era in contatto con Dell’Utri e quindi con Silvio Berlusconi”. Interpellato successivamente su questa improvvisa illuminazione, Cancemi risponderà: “Può essere un ricordo che mancava in quel momento e dopo un mese o dopo due mesi mi è venuto”. Mistero.

 

Fatto sta che nell’interrogatorio del 1994 Cancemi non solo riferisce di aver saputo che Berlusconi pagava 200 milioni a Cosa nostra ogni anno tramite Dell’Utri, ma lascia addirittura intendere che i due fossero dietro al grande progetto di Riina che aveva portato all’uccisione di Falcone e Borsellino, e poi alle bombe di Firenze, Milano e Roma. Insomma, Berlusconi sarebbe il mandante pure delle uccisioni di Falcone e Borsellino.

 

Nonostante il singolare percorso di “collaborazione” di Cancemi, Boccassini ritenne che quello indicato dal mafioso costituisse uno straordinario spunto investigativo da coltivare. Poche settimane dopo, però, in un articolo su Repubblica i giornalisti D’Avanzo e Bolzoni pubblicarono i contenuti del verbale di Cancemi, facendo così saltare l’indagine

 

Nella sua autobiografia, pubblicata nel dicembre 2021, Boccassini rivela che D’Avanzo, prima di morire, all’ennesima sollecitazione le riferì la fonte che gli aveva mostrato i verbali di Cancemi. Ovviamente, letto il libro, il pm Tescaroli  – che da oltre vent’anni porta avanti il teorema secondo cui Berlusconi sarebbe il mandante esterno delle stragi mafiose  – non ha esitato a convocare Boccassini e a chiederle conto di questa fonte. Lei si è rifiutata di rispondere e inevitabilmente è scattata l’accusa di false informazioni. 

 

Di certo Boccassini nell’inserire quell’aneddoto nel libro non ha mostrato una grande furbizia (né occidentale né “orientale”, come quella che lei contestò a Karima el Mahroug, con una punta di razzismo, nel processo sulle “cene eleganti”, finito con l’assoluzione del Cav.). Così, alla fine, ora è Ilda la Rossa a trovarsi alla sbarra, vittima di un teorema giudiziario che ormai sembra essersi trasformato in una continua caccia alle streghe.

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]