L'inchiesta fuffa di Firenze contro Berlusconi e Dell'Utri per le stragi di mafia

Ermes Antonucci

Il Foglio ha potuto visionare alcuni degli atti depositati dai pm fiorentini che accusano il Cavaliere e Dell'Utri di essere i mandanti esterni delle stragi del '93-'94. Emergono soltanto illazioni surreali e senza prove

E’ di nuovo tornata alla ribalta mediatica una delle indagini più surreali degli ultimi anni: quella condotta dai pm fiorentini Luca Turco e Luca Tescaroli a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, accusati di essere i mandanti esterni delle stragi di Cosa nostra nel biennio 1993-94. Un filone portato avanti fin dal 1998 tra Firenze e Caltanissetta, e già archiviato tre volte, ma riaperto per l’ennesima volta nel 2017. Nei giorni scorsi, la Repubblica e il Fatto quotidiano hanno pubblicato con grande enfasi gli stralci di alcuni atti depositati dai pm di Firenze, rilanciando il solito vecchio teorema sui rapporti tra Berlusconi e la mafia. Il Foglio ha avuto modo di visionare gli atti, che in realtà, se esaminati integralmente, confermano tutta la debolezza dell’indagine fiorentina.

 

Il primo fronte riguarda i presunti finanziamenti che Berlusconi avrebbe ricevuto dalla mafia tra gli anni Settanta e Ottanta per lanciare le sue aziende. Quale sia il nesso tra la nascita dell’impero berlusconiano e gli eventi che si sono verificati agli inizi degli anni Novanta (le stragi del 1993 a Milano e Firenze, gli attentati a Roma contro le basiliche di San Giorgio e San Giovanni, e contro Maurizio Costanzo, infine l’attentato fallito allo stadio Olimpico del gennaio 1994) è un mistero. Ma ai magistrati sono bastate le parole dette in un interrogatorio da Giuseppe Graviano, ex boss di Brancaccio oggi al 41-bis (in cerca di benefici penitenziari), su un presunto investimento da 20 miliardi di lire compiuto negli anni Settanta da suo nonno con altri finanziatori nell’attività di Berlusconi, per passare al setaccio tutti i flussi di denaro che hanno riguardato la Fininvest. Non solo: i pm di Firenze hanno persino fatto perquisire le abitazioni di alcuni famigliari di Graviano, alla ricerca – dopo quarant’anni – di una “carta privata” che proverebbe l’investimento a favore di Berlusconi.

 

Per vagliare tutti i bilanci e le operazioni di Fininvest, i magistrati hanno affidato una consulenza a due commercialisti che  hanno individuato movimentazioni per circa 70 miliardi di lire di cui non sarebbe chiara la “relativa provenienza” sulla base della documentazione a disposizione. I soliti quotidiani non hanno avuto dubbi: sono soldi della mafia. Eppure i consulenti nelle loro conclusioni non giungono mai a individuare una provenienza mafiosa di questi soldi. Non solo, l’ipotesi di un ingresso di capitali esterni in Fininvest è già stata esclusa dalla procura di Palermo nel 2004, nel corso del processo nei confronti di Dell’Utri, in seguito a una consulenza affidata a un funzionario della Banca d’Italia. Evidentemente queste conclusioni non sono piaciute ai pm di Firenze, così eccoci alla quarta indagine a spese dei contribuenti.

 

Ma la parte più surreale della consulenza di oltre 500 pagine depositata dai pm di Firenze riguarda l’analisi dei flussi finanziari tra Berlusconi e Dell’Utri: dal 1989 in poi l’ex premier ha versato al suo storico amico ed ex braccio destro diversi milioni di euro nella forma di donazioni, in segno di stima e riconoscenza. Quando nel 1996 i magistrati di Torino chiesero conto di tutte quelle donazioni, Berlusconi rispose: “Io sono amico fraterno di Dell’Utri, ci siamo frequentati per molti anni ed è lui che ha messo insieme la mia prima squadra di calcio; ha il merito enorme di aver fondato Publitalia, e naturalmente io mi sento in debito nei suoi confronti, e c’è sempre stata un’intesa tacita che io avrei ripagato questi meriti”. L’ex premier ha continuato a donare soldi a Dell’Utri anche, e soprattutto, nel periodo in cui quest’ultimo si è ritrovato ad affrontare il processo per concorso esterno in associazione mafiosa (e i successivi cinque anni di carcere), tra ingenti spese legali e ripercussioni sul piano famigliare.

 

I pm di Firenze, però, sono convinti che queste donazioni avessero un altro scopo: quello di convincere Dell’Utri a non mettere in mezzo il Cavaliere nei processi sulla mafia. Questa tesi viene abbracciata da un’informativa del 2021 del Centro operativo di Firenze della Direzione investigativa antimafia (incorporata nella consulenza), che ha dell’incredibile. Ogni evento e conversazione viene infatti interpretato in un’unica direzione. L’informativa cita, ad esempio, una conversazione intercettata nel dicembre 2020 in cui Paolo Berlusconi si congratula con Dell’Utri per una poesia sull’amicizia fatta recapitare a Silvio alcuni giorni prima. Dell’Utri risponde: “E’ bella… per me è semplice… è la vera amicizia… è vero!”. Tanto basta agli investigatori della Dia per commentare: “Quasi a confermare che mai tradirà una amicizia, che mai andrà contro il legame che lo lega a Silvio, e quasi a rassicurare, in quella fase di definizione del quantum monetario, che l’amicizia non comporterà, specie se ben remunerata, un tradimento”.

 

Dello stesso tenore l’interpretazione offerta dalla Dia su altre frasi pronunciate da Dell’Utri, in cui faceva intendere che la sua difesa al processo era anche la difesa di Berlusconi e di Forza Italia (del resto sempre chiamati in causa indirettamente dalle accuse): “Queste conversazioni – scrivono gli investigatori – ma soprattutto le somme elevate versate nel tempo da Berlusconi verso Dell’Utri, fanno ben considerare che alla base vi sia effettivamente una sorta di ricatto non espresso, ma ben conosciuto da tutti, e idoneo al persistere delle dazioni”. Insomma, non ci sono dubbi: la motivazione delle donazioni “risiede per quanto patito da Dell’Utri a seguito delle vicende processuali in cui è rimasto coinvolto e per aver ‘coperto’ Berlusconi”. Nessun dato viene fornito per dare riscontro a queste affermazioni, frutto di interpretazioni del tutto discrezionali.

 

Sembrano essersene accorti gli stessi consulenti nominati da Turco e Tescaroli, che infatti dopo aver esaminato i flussi di denaro tra Berlusconi e Dell’Utri, nelle conclusioni smentiscono la Dia: “Non sembra possibile, allo stato dei documenti esaminati, formulare osservazioni tecniche in termini di conferma e/o di confutazione delle affermazioni dello stesso Berlusconi in relazione alle ragioni sottese a tali erogazioni, quali sostanziali atti di ‘amicizia’”. Insomma, i pm si sono pure fatti un autogol.