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“Craxi e Berlusconi in un agrumeto coi boss”. L'ultima fantasia giudiziaria

Ermes Antonucci

Al processo "'Ndrangheta stragista", in corso a Reggio Calabria, il pubblico ministero deposita dichiarazioni di pentiti senza né capo né coda che tirano in ballo il Cav. e persino l'ex segretario socialista

"Vidi Craxi e Berlusconi in un agrumeto con i boss della ‘ndrangheta". E’ passata quasi inosservata (per fortuna, verrebbe da dire) l’ultima boiata sparata da un cosiddetto collaboratore di giustizia e valorizzata dai magistrati nel corso del processo “’Ndrangheta stragista”, che si sta celebrando davanti alla corte d’assise d’appello di Reggio Calabria. Il processo vede imputati Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all’ergastolo per l’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto il 18 gennaio 1994. 

 

Non si tratta di un semplice processo per omicidio. Secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che nel 2017 lanciarono l’operazione, in particolare il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e l’allora capo della Dda Federico Cafiero De Raho (poi divenuto procuratore nazionale antimafia e oggi deputato M5s), l’assassinio dei due carabinieri da parte della ‘ndrangheta farebbe parte della strategia stragista ordita da Cosa nostra agli inizi degli anni Novanta per sovvertire l’ordine repubblicano. In breve, secondo i pm, i corleonesi convinsero i vertici dei clan calabresi a partecipare alla strategia stragista che poi prese corpo con le cosiddette “stragi continentali” organizzate da Cosa nostra a Firenze, Roma e Milano nel 1993. In questo vasto progetto rientrerebbe anche il fallito attentato allo stadio Olimpico del 23 gennaio 1994. Tutto per chiedere benefici normativi allo stato.

 

Avremo modo in futuro di approfondire le innumerevoli contraddizioni dell’impianto accusatorio di questa sorta di processo “trattativa-bis”. Per il momento è importante dare notizia del “colpo di scena” emerso nell’udienza di lunedì scorso: il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha depositato un’informativa della Direzione investigativa antimafia (Dia) contenente le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno di questi, Girolamo Bruzzese, in un verbale del 10 marzo 2021 ai magistrati ha raccontato un episodio a cui avrebbe “assistito personalmente” e che sarebbe avvenuto “nel 1978-1979, poco dopo l’omicidio di Aldo Moro”. Bruzzese ha parlato di un summit nel luogo dove suo padre trascorreva la latitanza, “presso l’agrumeto di tale Peppe Piccolo”. Alla riunione avrebbero partecipato, oltre a Domenico Bruzzese, padre del collaboratore di giustizia, i vertici della ‘ndrangheta reggina. “Mentre ero lì – ha fatto mettere a verbale Girolamo Bruzzese – vidi giungere nell’agrumeto Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, che ho riconosciuto per averli già visti in televisione. Al loro arrivo, mio padre mi fece allontanare su richiesta di Peppe Piromalli, facendomi accompagnare a casa da un suo uomo di fiducia”. Dopo molti anni, stando sempre alle dichiarazioni di Bruzzese, suo padre gli “raccontò che Craxi e Berlusconi si erano recati al summit perché Craxi voleva lanciare politicamente Berlusconi e quindi per concordare un appoggio anche da parte delle cosche interessate alla spartizione dei soldi che lo stato avrebbe riversato nel Mezzogiorno”. 

  

Nonostante l’evidente inattendibilità dell’episodio, non solo sul piano logico (l’immagine di Craxi a braccetto con Berlusconi tra gli agrumi della piana di Gioia Tauro sembra andare oltre qualsiasi immaginazione), ma anche sul piano storico (da lì a poco Craxi sarebbe diventato presidente del Consiglio e non si comprende il motivo per cui si sarebbe dovuto spendere per lanciare politicamente Berlusconi), i giudici hanno accolto la richiesta della pubblica accusa di audire Girolamo Bruzzese, così come hanno deciso di acquisire il verbale di un altro pentito defunto, Gerardo D’Urzo.

 

Nel verbale di dichiarazioni spontanee del 2009, D’Urzo afferma di aver saputo da “una persona” che “un certo Valensise con altra persona della ‘ndrangheta jonica” si recò a Roma ed ebbe un “un colloquio a Palazzo Grazioli con l’onorevole Silvio Berlusconi”, e che “questi gli disse al Valensise che quello che aveva promesso lo manteneva e dovevano stare tranquilli”. Ovviamente nessuno sa (e mai saprà, visto che il collaboratore di giustizia è morto) chi sia la “persona” che ha riferito la notizia, chi sia questo tale “Valensise”, chi sia la persona appartenente alla ‘ndrangheta, quando sarebbe avvenuto l’incontro, né tantomeno quali sarebbero le promesse che Berlusconi avrebbe dovuto mantenere. Tutto è ammesso, però, se c’è di mezzo il Cav. E lo show può continuare.