“Troppe assoluzioni”, le assurde critiche dell'Ocse ai giudici italiani

Ermes Antonucci

Dal caso Finmeccanica-India a Eni-Nigeria: per gli esaminatori Ocse i nostri tribunali assolvono troppo nei casi di corruzione internazionale perché sbagliano a valutare le prove. Un'interferenza evidente sulla nostra magistratura, ma per l’Anm è tutto ok

"Siamo seriamente preoccupati dal fatto che i processi in Italia sui casi di corruzione internazionale abbiano prodotto un alto numero di sentenze di assoluzione". “Dopo una condanna nel 2013, infatti, gli ultimi sette processi hanno prodotto cinque assoluzioni piene, un’assoluzione parziale e una condanna”. “Le assoluzioni si verificano perché, anziché prendere in esame contemporaneamente la totalità delle prove indiziarie, ciascuna di queste viene esaminata solo individualmente”. Più che un’analisi sullo stato di attuazione della Convenzione sulla corruzione internazionale del 1997, il rapporto pubblicato martedì dal Gruppo di lavoro sulla corruzione dell’Ocse, dedicato all’Italia, assomiglia a un atto di accusa di stampo forcaiolo nei confronti dell’operato dei giudici italiani. Con alcuni passaggi a dir poco inopportuni: quelli in cui gli esaminatori dell’Ocse si spingono addirittura a contestare nel merito le valutazioni effettuate dai giudici italiani in alcuni processi di grande importanza, come quelli sulla vendita di elicotteri all’India da parte di Finmeccanica e sugli affari petroliferi di Eni in Nigeria e Algeria (finiti tutti con l’assoluzione degli imputati).

 

Il caso più evidente riguarda proprio il processo Eni-Nigeria, in cui la procura di Milano ipotizzò il pagamento di una tangente da oltre un miliardo di dollari. Il rapporto Ocse appare tutto finalizzato a difendere l’operato dei due pm titolari del processo, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, oggi a processo a Brescia con l’accusa di aver nascosto prove utili alla difesa. Gli esaminatori Ocse non solo contestano il metodo usato dai giudici che assolsero gli imputati, ma giungono persino a citare alcune mail interne a Eni, affermando che il “linguaggio faceva pensare alla corruzione”

 

Insomma, nel rapporto il gruppo Ocse sembra voler svolgere una sorta di quarto grado, contestando ai giudici italiani soprattutto la trattazione delle prove indiziarie in modo “individuale”, anziché con una “visione olistica”.  Tutto ciò dimenticando che in Italia esistono organi giudiziari  che si occupano di stabilire se le sentenze sono redatte o meno secondo i criteri stabiliti dalla legge.

 

Di fronte a un’interferenza così evidente, ancora più sorprendente appare essere la reazione dell’Associazione nazionale magistrati, che in teoria, piuttosto che lanciare grida di battaglia al futuro governo, dovrebbe occuparsi di tutelare l’indipendenza delle toghe. “Per noi non si pone un problema di lesione dell’indipendenza dei giudici”, dichiara infatti al Foglio il presidente Giuseppe Santalucia. Ma come, presidente? Il gruppo Ocse si spinge persino a entrare nel merito di casi giudiziari. “Nel rapporto c’è una frase in cui si fa espressamente riferimento al rispetto dell’indipendenza dei magistrati”, replica Santalucia. “Al di là dei casi singoli, poi, il gruppo fornisce raccomandazioni generali per la prevenzione e l’individuazione dei casi di corruzione internazionale”. Sì, ma il problema è che nell’analizzare i singoli procedimenti, gli esaminatori contestano le valutazioni svolte dai giudici italiani, molto probabilmente sulla base di una conoscenza soltanto sommaria delle vicende. “Il gruppo fa le sue critiche, più o meno fondate, ma non si pone un problema di lesione dell’indipendenza”, ripete il presidente dell’Anm.

 

Nessun problema, dunque. Pazienza se il gruppo di lavoro Ocse, nel bocciare il metodo seguito dai giudici italiani, si sia di fatto sostituito alla nostra Cassazione. E pazienza  se in un altro passaggio del rapporto finisca nel mirino anche la sostituta procuratrice generale di Milano, Celestina Gravina, che si rifiutò di impugnare la sentenza di assoluzione del caso Eni-Nigeria sottolineando l’assenza di prove. “Il procuratore d’appello – si legge nel rapporto – ha anche fatto alcune osservazioni sconsiderate, descrivendo l’atteggiamento del pubblico ministero come ‘neocolonialista’ e sostenendo che le società incriminate ‘avevano fatto la ricchezza della Nigeria’”.

 

Di sconsiderato sembra esserci soltanto l’interferenza di un’organizzazione internazionale nelle decisioni dei giudici italiani.