(foto Ansa)

Editoriali

Il Csm saluta De Pasquale. Bocciato il pm del caso Eni-Nigeria

Redazione

Non confermato a maggioranza con 23 voti a favore, compreso quello del vicepresidente Fabio Pinelli. Berlusconi lo definì “famigerato” per il ruolo nella tragica vicenda del suicidio in carcere di Gabriele Cagliari

Chissà se anche la procura di Milano chiederà al Csm di aprire una pratica a tutela del proprio ufficio, se ci avventuriamo a riportare una notizia – e che notizia, davvero notevole innanzitutto perché inusuale e fuori dai tradizionali ovattati protocolli dell’ordine giudiziario – che giunge proprio da Palazzo dei Marescialli. L’organo costituzionale preposto alla “garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati” ha deciso di non confermare nelle sue “funzioni semi-direttive” presso la procura di Milano il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale. Non succede spesso, e De Pasquale non è proprio l’ultimo, per ruolo e visibilità, dei magistrati guidati oggi da Marcello Viola.

E’ stato protagonista assieme  al collega Sergio Spadaro del processo Eni-Nigeria, per il quale i due pm sono ora sotto processo a Brescia per non aver depositato atti a favore delle difese. De Pasquale è il pm che Berlusconi definì “famigerato” per il ruolo nella tragica vicenda del suicidio in carcere di Gabriele Cagliari, nonché il pm che tentò di indagare Giorgio Strehler. Ma è pur sempre l’unico pm a essere riuscito a far condannare Berlusconi. Un magistrato di primo piano, e questo rende anche più significativa, si vorrebbe dire coraggiosa, la decisione del Csm.

E’ soprattutto il caso Eni-Nigeria (tutti assolti) ad aver indotto il plenum, a maggioranza con 23 voti a favore compreso quello del vicepresidente Fabio Pinelli, alla decisione di non conferma delle “funzioni semi-direttive requirenti” che a De Pasquale erano state conferite nel 2017.

Nella delibera si legge: “Risulta dunque dimostrata l’assenza in capo al dott. De Pasquale dei prerequisiti della imparzialità e dell’equilibrio, avendo reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti nonché senza senso della misura e senza moderazione”. E inoltre “la pervicacia dimostrata” indica “un modus operandi consolidato e intimamente connesso al suo modo di intendere il ruolo ricoperto”. Se n’è accorto anche il Csm.

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