le conseguenze della crisi

La proroga del Csm non sarebbe una bella figura, ma neanche una catastrofe

Ermes Antonucci

In caso di ritorno anticipato alle urne, il Parlamento non potrebbe eleggere i nuovi membri laici del Consiglio superiore della magistratura, che dunque sarebbe prorogato. Una figuraccia, ma l'attuale Consiglio continuerebbe a funzionare. Parla Vietti

In caso di definitiva crisi di governo e di ritorno anticipato alle urne, l’attuale Consiglio superiore della magistratura, tanto vituperato dopo lo scandalo Palamara, sarebbe prorogato per un tempo indefinito, almeno un mese e mezzo o due. Il 18 e il 19 settembre, infatti, i magistrati italiani eleggeranno i venti componenti togati del nuovo Consiglio (quello attuale scade il 25 settembre), secondo il nuovo sistema elettorale previsto dalla riforma Cartabia. Con lo scioglimento anticipato delle Camere, invece, il Parlamento non sarebbe in grado di eleggere i nuovi dieci membri laici del Consiglio, che dunque sarebbe prorogato nella sua composizione attuale, come previsto dalla legge istitutiva dello stesso organo di governo autonomo delle toghe (“Finché non è insediato il nuovo Consiglio continua a funzionare quello precedente”). 

 

La proroga non sarebbe di breve durata. Bisognerebbe attendere l’esito delle elezioni politiche, la formazione del nuovo governo, la definizione dunque di una maggioranza e di un’opposizione a livello parlamentare, le elezioni dei presidenti di Camera e Senato, insomma lo svolgimento di tutte le procedure necessarie al funzionamento del Parlamento. Poi a quel punto, i partiti dovrebbero trovare un accordo sui dieci nomi da eleggere (scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale), in grado di soddisfare il quorum previsto dalla legge: maggioranza di tre quinti dell’assemblea per la prima votazione, mentre per gli scrutini successivi al secondo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. 

 

Insomma, prima dell’insediamento del nuovo Consiglio passerebbero almeno novanta giorni, se non di più. Un paradosso se si considera l’intensità con cui la Guardasigilli Marta Cartabia ha spinto per far approvare  la riforma del sistema elettorale del Csm, in seguito ai continui appelli del capo dello stato. A essere prorogato sarebbe il Consiglio travolto nel 2019 dallo scandalo Palamara e che ha visto ben sei consiglieri dimettersi per le vicende legate all’inchiesta di Perugia (in aggiunta al procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio). Nonostante il ricambio, l’attuale consiliatura rimarrà sempre legata al caso Palamara, e dunque fa un certo effetto sapere che potrebbe pure essere prorogata oltre la sua scadenza. La proroga, comunque, almeno dal punto di vista del funzionamento dell’istituzione, non costituirebbe un disastro.

 

“L’attività del Csm potrebbe procedere normalmente, senza limitazioni”, dichiara al Foglio Michele Vietti, vicepresidente del Csm dal 2010 al 2014. Proprio la consiliatura che lo vide vicepresidente venne prorogata di due mesi per il ritardo del Parlamento nell’elezione dei nuovi componenti laici. “Certo – aggiunge Vietti – poi è rimesso alla sensibilità del vicepresidente se assumere determinazioni che sarebbe invece più prudente affidare ai successori, ma questo vale  sulle questioni gestionali o organizzative di carattere generale e non sulle specifiche nomine. Le nomine dei magistrati alla guida degli uffici giudiziari sono un adempimento che fa parte dell’attività ordinaria del Consiglio. Su quelle non ci possono essere limitazioni. Se invece occorresse deliberare su una circolare che abbia delle incidenze particolarmente rilevanti sull’organizzazione giudiziaria allora si potrebbe riflettere se sarebbe meglio lasciare questo compito ai successori, ma limitazioni non ce ne sono”. Certo, ammette Vietti, “questo Csm arriva a destinazione già molto acciaccato. Una proroga, dopo tutto quello che ha vissuto, forse non farebbe bene perché tutti speravano in un rinnovo il più rapido possibile. Però, come si dice, ad impossibilia nemo tenetur”. 

 

Ciò che resta sicura è l’elezione della componente togata del nuovo Csm il 18 e 19 settembre, sulla base delle nuove regole elettorali, che non convincono Vietti soprattutto rispetto all’obiettivo dichiarato, quello di ridurre il peso delle correnti: “Il nuovo sistema elettorale non mi convince – dichiara Vietti – Visto sulla carta mi pare che metta insieme i difetti del proporzionale e i difetti del maggioritario. Pensare che questo meccanismo eviti le interferenze delle correnti mi sembra molto illusorio. Temo che i buoni propositi di lasciar fuori le correnti dalla competizione elettorale si infrangeranno miseramente contro la prassi abituale”. Conclude Vietti: “Bisognava avere il coraggio di arrivare a un sistema di sorteggio temperato, con l’elezione di una platea più vasta di magistrati all’interno della quale poi effettuare il sorteggio”.