I laici del Csm contro Salvi per la gestione dello scandalo Palamara

Ermes Antonucci

I componenti laici del Consiglio superiore della magistratura criticano il mancato esercizio dell’azione disciplinare da parte del pg della Cassazione, Giovanni Salvi, nei confronti di tante toghe coinvolte nelle chat di Palamara

La componente laica del Consiglio superiore della magistratura (quella eletta dal Parlamento) è in subbuglio rispetto a quanto sta emergendo sulla gestione dello scandalo Palamara da parte del procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, titolare dell’azione disciplinare nei confronti delle toghe. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato di come lo scandalo, sul piano disciplinare, si sia risolto in una sorta di amnistia generalizzata, se si esclude la punizione di pochi capri espiatori. Contattato dal Foglio, il pg Salvi (in pensione dal 9 luglio) si è sottratto a qualsiasi confronto, chiudendo bruscamente la telefonata. Il pg ha invece scelto di rilasciare un’intervista al Corriere della Sera, che però si è rivelata un boomerang. 

 

Nell’intervista, infatti, Salvi ha risposto alle critiche affermando di aver esercitato in seguito allo scandalo Palamara 29 azioni disciplinari, che hanno portato a 20 rinvii a giudizio e 14 sanzioni. “Numeri miseri”, commenta con il Foglio l’avvocato Stefano Cavanna, membro laico del Csm, ricordando che nelle famose chat di Palamara risultarono coinvolte centinaia di magistrati. “Certo – aggiunge Cavanna – in queste conversazioni alcuni facevano semplicemente gli auguri di Natale a Palamara, ma moltissimi magistrati sono apparsi inseriti in quel sistema fatto di autopromozioni, raccomandazioni, denigrazione dei concorrenti e tentativi di influenzare le scelte del Csm”. Come è possibile che la montagna di condotte scorrette emersa dalle chat di Palamara abbia prodotto questi miseri numeri? La risposta è da rintracciare innanzitutto nelle circolari con cui il pg Salvi ha stabilito di non ritenere illecito disciplinare l’autopromozione praticata dai magistrati con Palamara per ottenere le nomine, così come le “condotte scorrette gravi” caratterizzate da “scarsa rilevanza”. 

 

C’è poi il grande tema della discrezionalità con cui il pg ha deciso di archiviare (o di non avviare neanche) l’azione disciplinare nei confronti delle toghe, su cui esiste un muro di segretezza di fatto impenetrabile. La procura di Perugia, che ha indagato su Palamara, ha però trasmesso alcuni atti direttamente al Csm per la valutazione di possibili casi di incompatibilità ambientale e funzionale dei magistrati. In diversi casi è così emerso il palese coinvolgimento di numerose toghe nell’attività clientelare e spartitoria messa in piedi da Palamara e dalle altre correnti. Si è anche scoperto, però, che diverse di queste toghe non sono state sottoposte ad azione disciplinare. Cavanna è tra i membri laici che negli ultimi mesi hanno lamentato nelle discussioni al Csm il mancato esercizio dell’azione disciplinare da parte della procura generale della Cassazione. 

 

Il caso più emblematico riguarda Anna Canepa, pm della procura nazionale Antimafia e antiterrorismo. Pur essendo stata beccata a chattare con Palamara, prima per raccomandare un collega per la guida della procura di Savona (definendo gli altri due concorrenti dei “banditi incapaci”) e poi per caldeggiare la nomina di un altro collega alla Dna (cioè al suo stesso ufficio), Canepa non è stata sottoposta ad alcuna azione disciplinare. “Mi sembra una cosa siderale – dice Cavanna – Sembra di essere nella giungla: se ho un amico forte faccio quello che voglio o almeno ci provo. Ma ci sono tanti altri casi simili, come quelli che riguardano i magistrati Massimo Forciniti, Donatella Ferranti, Valerio Fracassi”. “Come mai non sono stati sottoposti ad azione disciplinare?”, si chiede il membro laico. “Da avvocato e da cittadino mi stupisco. Oddio, ormai non mi stupisco più, perché so che il Csm è il regno del più forte, però francamente sono deluso e non mi posso meravigliare se la magistratura sia ai minimi storici in termini di credibilità”.

 

La risposta alla domanda, comunque, la fornisce lo stesso Cavanna: “La procura generale può fare virtualmente quello che vuole, senza dare conto a nessuno. Nella giustizia ordinaria, il gip decide sulla richiesta di archiviazione del pm, disponendo l’archiviazione, oppure il proseguimento delle indagini e in certi casi estremi persino l’imputazione coatta. Questa è una garanzia del sistema, altrimenti il pm può fare quello che vuole. L’opposto di ciò che invece succede nel giudizio disciplinare dei magistrati, dove la procura generale ha un potere assoluto, che si trasforma in potere autoassolutorio”. 

 

Non è tutto. Nell’intervista al Corriere della Sera, Salvi si è anche attribuito il merito di aver pubblicato “le sintesi delle decisioni di archiviazione”. I componenti laici sono trasecolati: nessuno sapeva niente di queste “sintesi”, al Csm non se n’è mai parlato. Una volta scoperta l’esistenza di queste “sintesi” (definite “massime”), pubblicate sul sito della procura generale della Cassazione, i consiglieri del Csm hanno pure constatato la loro inutilità: “Si tratta di attività di massimazione del tutto inutile a qualsiasi fine specifico del Csm – afferma Cavanna – Queste massime sembrano più rivolte a studiosi e difensori per individuare criteri generali di condotta della procura in merito a tale potere esercitato in piena autonomia. Si tratta, in sostanza, di un ‘niente’, superfluo e fuori tema rispetto ai casi macroscopici trattati recentemente dalla prima commissione e dal plenum. Sembra una presa in giro”. 

 

Inutilità a parte, l’elemento più paradossale è che i membri laici siano venuti a conoscenza di queste “massime” solo ora, a poche settimane dalla fine della consiliatura. Sembra una barzelletta, ma si chiama Csm.

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